Dott. Concetto Del Popolo
della Università degli studi di Torino:
Dipartimento di Filologia, Linguistica e Tradizione classica
Via Sant'Ottavio, 20; 10124 Torino, Italia: Dipartimento: tel. 0116703574
Un quaresimale del beato Matteo di Agrigento[1]
Campo di Siena, domenica 17 agosto 1427: nella predica «nella quale tratta delle parti vuole avere il predicatore»[2], parlando di coloro che ipocritamente si dicevano suoi compagni, san Bernardino invita il pubblico a metterli alla prova; poi aggiunge: «Io ho bene de’ compagni che so’ buoni, e so di tali i quali so’ di tanta buona vita, e fanno tanto frutto, che è una maraviglia. Fra ’ quali è uno frate Matteo di Cicilia, il quale ha ridotto un re alla fede cristiana con tutto quello paese»[3]. Gran predicatore e uomo di santa vita fu Matteo di Agrigento; a lui allude il Senese e al quaresimale tenuto dal confratello in Valenza nello stesso anno[4].
Finora del frate sono editi solo dei Sermones varii[5], di importanza fondamentale, al di là dei contenuti, per due motivi: il primo, perché conservati in un ms. autografo, come dimostra l’editore, il p. Amore; il secondo, perché mette a disposizione il suo tipo di lingua, stabilendo cosí, pur con tutti i limiti che il principio comporta, un pilastro di riferimento, l’usus scribendi, per comparazioni e decisioni in tutti i casi di testo corrotto o incerto, data la difficile situazione della lingua mescidata. Questo secondo motivo diventa capitale, poiché il testo di cui trattiamo reca nell’unico codice noto, il ms. 18 II 3 della Bibl. Piervissani di Nocera Umbra, il titolo: Quadragessimale fratris Mathei de Cicilia, ordinis minorum. Si evidenzi che il ms., che siglo N, non è autografo, ed il titolo col nome dell’autore non è della stessa mano che ha trascritto il testo, ma di un’altra, che ha usato una penna piú sottile e riempito lo spazio superiore della carta, rispetto al resto del codice; una terza mano ha aggiunto una Tabula a fronte della c.1r, cioè in quella che funge da coperta, e di cui si darà piú avanti la trascrizione; sembra della secunda il ‘completamento’, per maggiore chiarezza, di parecchi titoli dei sermoni nel corso del ms.[6].
Il copista di N: frater Ulricus e l’autore
Il primo copista ha un nome, visto che a c. ccxxxijr scrive questo explicit[7]:
Explicit hoc[8] vere, - scriptor vult precium habere[9].
Ego, frater Ulricus Lauffer de Alemannia, bon campanion, / complevi, auxiliante[10] Deo, hoc quadragesimale / in die sanctorum Gervasii et Protasii[11] 1448. Amen.
Esca datur gratis, - mos est ut malvasiam solvatis.
Et fac fuisti fenster dicht du munsts [mijnsts? mÿnsts?] nÿtt fac / fortis ante culum [?] eius fac ut scis sis vis obliviscis / perdis te permerdis omnia perhÿs [physicis?] drecle iser ob amore / betterlin recordabis.
La sottoscrizione è regolare, inserita fra due versi, con una strana aggiunta: infatti, si ha explicit, nome e cognome del copista, seguito secondo il costume dei frati dalla patria e da un non usuale appellativo, ringraziamento implicito a Dio, argomento dell’opera, data della fine del lavoro indicata con la festività; manca il nome dell’autore del Quadragesimale e il luogo di scrittura. La stessa grafia aggiunge quel misto di latino e tedesco, che qualcuno, forse perché pare coprolalico lo stesso copista, ha cassato, rendendolo quasi illeggibile[12]. È pertanto evidente la differenza esistente fra le prediche che ci sono pervenute come reportatio, ad esempio proprio quelle in volgare di Bernardino da Siena, e quelle di N, che è copia; e copia di un testo di ‘appunti privati’: basterebbe una analisi minima (e la farò sul primo sermoe), per dimostrarlo. La reportatio è un testo ‘vivo’, che suttostà agli inconvenienti della scrittura in base alle abilità grafiche del ‘copista’ e alle sue capacità tachigrafiche per correre dietro all’oralità, e subisce anche gli adattamenti ‘orali’ di chi parla, predicando (o tenendo lezioni, in altri casi), come anacoluti, ripetizioni, sospensioni di frasi, ripensamenti, esclamazioni, etc., senza possibilità di attuare sul momento correzioni, se non velocissime e minime, oltre a quelle apportabili in una fase di rilettura o ricopiatura; ma quest’ultima operazione si presta a diverso atteggiamento, perché la copia è ‘morta’, incapace di proprie mutazioni, passibile di correzioni e interventi di ogni tipo. Ammettendo che l’originale del beato non dovesse essere chiarissimo, per la grafia[13] e perché ‘appunti privati’, veri schemi da sviluppare ed accenni ad episodi narrativi che si sarebbero resi piú espliciti durante la predicazione, la copia in nostro possesso - sarò esagerato e iperbolico - rende visibilmente concreta l’idea di un codex pessimus, in cui si notano tutti gli errori del copista, che, come tali, vanno emendati. Anzi, la grafia del frate tedesco è generalmente una gotica chiara e leggibile, né si può dire che egli abbia fatto il lavoro in modo distratto, perché si trovano correzioni, soprattutto dovute ad anticipo: restano iniziali o sillabe sospese, perché, accorgendosene, Ulrico ritorna all’ordine del testo: questi elementi, abbinati all’eleganza della sottoscrizione, fanno supporre un ‘copista di professione’; siamo sicuri, invece, che non era buon conoscitore del latino e dei volgari italici, poiché sono tali e tanti gli errori, molti comprensibili paleograficamente, che, nonostante le apparenze della grafia, dobbiamo pensare che egli ignorasse parecchi nessi tachigrafici, confusi leggendo e ricopiando; e non so fino a che punto conoscesse la Scrittura, dato che spesso trascrive salmi e altro solo con le iniziali delle singole parole: è mia impressione che copiasse automaticamente, senza capire il senso generale ma accontentandosi della singola parola (e non sempre!); persino il testo biblico risulta a volte errato e ciò non si può imputare all’autore, che cita capitoli e numerazione dei salmi quasi sempre in modo corretto (anche nei Sermones varii): mi sembra strano, pur se non impossibile, che confondesse il testo e non i capitoli! Si deve poi considerare che Ulrico copia per commissione, non sappiamo se di un frate o di uno esterno all’ordine francescano, al quale si suppone appartenesse anch’egli; infatti nella sottoscrizione chiede di essere ricompensato: «vult precium habere»; la frasetta è di rito, perciò ‘neutra’, trascritta lí solo perché si usava chiudere il testo in modo formulare; la conferma viene dal tono del secondo verso, vera smentita della serietà del primo, per la malvasia, che non ho trovata in altri explicit. È vero che si tratta di elementi minimi per formulare una conclusione; ma, soppesando il poco raccolto, trova maggiore credito l’ipotesi che frater Ulricus fosse copista ‘di mestiere’, magari di testi nella sua lingua! La conclusione, comunque, è importante, perché a lui - o alla sua copia - si dovranno accollare sviste ed errori di ogni tipo. Non tratto delle poche righe latino-tedesche, perché paiono indecifrabili ed esulano dal mio compito.
L’autore del Quadragesimale, se è lo stesso dei Sermones varii (necessarî riferimenti di ogni comparazione), era di buona cultura, conosceva il latino non ancora toccato dalla nuova visione umanistica; latino medievale, accettabilissimo, con una sintassi semplice dalla quale traspare con evidenza il volgare, lingua con cui il latino è commisto senza soluzione di continuità; si trovano parole, espressioni, intere frasi in toscano e in siciliano e anche in dialetti settentrionali, poiché Matteo, come Bernardino e altri riformatori, correva per tutta la cristianità. Nel suo latino ci sono errori, dovuti all’uso quotidiano del volgare, come quando scrive splen frigida ‘milza fredda’, invece di frigidus, essendo splen maschile[14]; oppure delle sviste, come nell’attribuzione autografa a Paolo di fidem consummavi, marcato col sic dall’editore, ma chiara eco del precedente cursum consummavi[15]. La lettura delle due opere mette in risalto citazioni di autorità, come i padri della Chiesa e i teologi; né mancano versi iacoponici; inoltre, nell’edizione dei Sermones varii si trova un componimento poetico per la morte di Cristo, cosa non del tutto estranea al modo di predicare proprio dei francescani, anche di Sicilia, stando alla Sposizione del Vangelo della Passione secondo Matteo, finita di scrivere «in vulgari nostro siculo anno Domini M° CCC° LXXIII°, die aprilis tercio, XIe indicionis», di cui conosciamo con quasi certezza l’autore, Niccolò Montaperti di Agrigento[16]: strana coincidenza, che ci porta al luogo di nascita di Matteo, all’epoca ancora in mente Dei[17]. Dunque, inserito nel Sermo passionis Domini nostri Jesu Cristi[18], c’è un vero planctus: Venite, tucte o creature, grati, che il De Bartholomaeis, citato dal p. Amore, attribuisce al beato.
L’edizione dei Sermones varii è ammiranda per la puntuale ricerca delle fonti[19], che con la collaborazione di altri studiosi si può completare: ad esempio, in Ad religiosas, si legge: «Auctoritate. Absolvere se non pò chi non si penti»[20]; forse il beato non ricordava il nome dell’autore, ma si tratta di Inf. XXVII, 118, in cui Francesco disputa col diavolo per l’anima di Guido da Montefeltro, con la lezione di logica sul pentimento e l’assoluzione. Il testo è citato a memoria, e stando agli apparati delle due piú recenti edizioni critiche dantesche (Petrocchi e Sanguineti) non c’è codice che riporti l’anticipazione di se; al di là del fatto che l’autore venga citato come autorità, ci sono da mettere in evidenza la conoscenza di Dante - si è nella prima metà del Quattrocento -, anche se non sappiamo dove il frate abbia letto il testo, se in Sicilia o altrove, e il penti finale, sicuramente siciliano[21]. Anzi, nonostante tutto il latino scritto dei sermoni, penso che la predicazione del beato fosse abitualmente in volgare, mentre i suoi appunti sono in ‘lingua mescidata’, in cui coesistono latino e toscano e siciliano; né mi meraviglierei se si trovassero degli ispanismi, dato il suo predicare in Spagna. Per il ricordo dantesco non credo si debba tralasciare il fatto che l’episodio riguardi proprio san Francesco. Per le fonti, aggiungo che, al De humilitate, quando si ricorda l’umiltà di frate Masseo, bisogna almeno vedere i Fioretti, cap. 32[22]; leggendo: «Exemplum illius vidue que amplius cepit oleum quam vas capere possit» mi pare che si rimandi ad Eliseo (4 Rg 4, 1-7); non so se giudicare errore di stampa la maiuscola in Merula, nell’«Exemplum beati Benedicti a Merula in deserto temptati»[23], trattandosi della merla, secondo Gregorio Magno, Dialogi, II, ii. De temptatione carnis superata (ma la fonte non è citata); non riesco a definire la natura dell’errore evidente: «Michael qui interpretatur ‘qui sum deus’»[24], poiché almeno ci vorrebbe il sic dell’editore, se non si tratta di svista e si deve pertanto leggere secondo la quasi unanime tradizione: «Quis ut Deus». L’ultimo caso suggerisce altro lavoro da fare, cioè la ricerca delle etimologie, come quando Matteo scrive: «disciplina dicitur a disco, discis»[25]: non penso sia casuale che la stessa si ritrovi in Uguccione da Pisa[26], mentre lo è certo l’interpretatio di: «Ecce ascendimus Jerosolimam, quasi dicat si ‘visionem pacis’ volumus possidere…»[27]: «beata pacis visio» era noto, poiché secondo verso di Caelestis urbs, Ierusalem, inno In dedicatione Ecclesiae[28].
Lodevole nell’edizione dei Sermones varii è soprattutto l’ardua impresa di lettura operata sulla grafia del beato[29], che spesso usa abbreviazioni non comuni, forse perché l’autografo è un brogliaccio, anche questi sicuramente appunti non letti ma seguiti come traccia, nonostante il minutissimo sviluppo di tipo scolastico di tante questioni, con infinite suddivisioni della materia; ma gli etc. e i consigli che l’autore si rivolge sono conferma per pensare ad un quaderno privatissimo, esattamente come per l’originale del codice N; e questo giustificherebbe di piú il passaggio di mano del ms., donato da Matteo a Giovanni da Capestrano, come segno di amicizia, secondo l’ipotesi del p. Amore[30]. La grafia però rese ancora più arduo il compito del copista di N, che fraintendeva i segni tachigrafici; e all’editore moderno si presentano gli stessi problemi.
Nonostante tutto il lavoro compiuto, anche il testo dei Sermones varii merita revisione, poiché confrontando la parte stampata con la foto del f. 69v del cod. XXXII di Capestrano, riprodotta nella pagina accanto al titolo, si vedono imprecisioni, alcune minime, altre che modificano il senso, magari rendendo maggiore giustizia all’autore. Per un raffronto, riporto le prime righe dell’edizione del p. Amore (tra parentesi quadre e in corsivo la mia lettura):
(f. 69va) Cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies. Ps. 50. Ubi tria notantur: primum, la sua diffinicione; secundum, la sua figuracione; tercium, la sua inducione.
Quantum ad primum, scilicet la sua diffinicione, tria sunt notanda: primo [primum, poiché nel ms. si legge pm] la quidità, secundo [secundum, ms. 2m] la quantità, tercio [tercium vel tertium, ms. 3m] la virtuosità. Primo è, core integro et indurato. Eccl. 3: Cor durum male habebit in novissimo; huic recessit [resistit] Deus sicut incus malleo resaltanti. De quo Job: Cor durum nec compuncio nec Deus. Secundo è, core [si leggono parole indecifrabili sulla foto, subito cassate, ma in apparato non si dice; e di seguito] in parte spezato, sicut est cor usurarii vel avari (dic de restitucione et avaricia), ligatum […]
Peccati veniali, eccetto recessit/resistit scritto per esteso, che muta il costrutto (recedere col dativo?) e dà significato alla frase. Bisogna inoltre punteggiare: «Primo è core integro et indurato […] sicut incus malleo resaltanti, de quo Job. Cor durum nec compuncio…». Le altre minuzie, però, specie le correzioni e le sostituzioni, in margine o in interlinea, talora con segno di richiamo talvolta no, vanno segnalate[31] con quella precisione richiesta a chi studia autografi, specie se questi diventano primum comparationis con altre opere dello stesso autore, in una specie di ‘grammatica ideale’, in cui confluiscono, con i pensieri, anche le parole, con la presunzione critica dello stile personale ed inimitabile. Non solo: ma la cosiddetta ‘filologia d’autore’ troverebbe tanti elementi di studio, proprio nelle varianti e correzioni che il codice di Capestrano ci tramanda. Delle sei aggiunte sul margine sinistro della carta in questione riprodotta, solo tre si vedono trascritte in apparato; manca quella che si legge sul bordo superiore e le poche parole che si intravedono sul margine destro: la riproduzione non rende possibile darne qui conto[32]. Si aggiunga quanto scrive lo studioso proprio per questo sermone: «È il piú autentico ed originale di tutti i sermoni del B. Matteo, tante sono le correzioni e le note marginali autografe, anche quella che secondo il Chiappini sarebbe del Capestrano»[33]; questo motivo credo sia stato quello che ha fatto decidere l’editore sulla scelta della foto, ma lascia sospettoso il lettore, soprattutto perché, nei criteri di edizione, lo studioso ricorda di essersi «attenuto ad una scrupolosa trascrizione diplomatica […] Per maggiore comprensibilità del testo ho aggiunto qualche segno di punteggiatura…»[34]. Anche questa, come è quasi usuale in ogni edizione perché col tempo cambia il sistema di indicarla, meriterebbe revisione; nel caso specifico, proprio diversa punteggiatura fa risaltare la citazione di Giobbe, mentre in apparato si legge: «Non inveni»; la frase, non letterale, rimanda a: «Cor eius indurabitur quasi lapis et stringetur quasi malleatoris incus» (Iob 41, 15); il caso, anche se si lavora su autografo, diventa paradigmatico per provare l’affermazione continiana che «ogni edizione critica è ipotesi di lavoro»; e questo a dispetto del facile adombramento che le critiche potrebbero provocare nell’editore[35]. Nella colonna b dello stesso folium necessitano altre puntualizzazioni, poiché le cancellature e le correzioni sono abbastanza fitte: si legga: «Tunc stella magna, id est anima splendore Dei ymaginis illustrata, cecidit, id est totum corpus peccati contrivit», mentre il ms. reca: «Tunc stella nigra [cancellato e seguito da] magna, idest anima Dei ymaginis illustrata cecidit», splendore si trova scritto in interlinea sopra Dei ym, mentre un piccolo segno fra anima e Dei indica la corretta posizione dell’aggiunta. La cassatura per sostituzione e l’integrazione della parola omessa possono essere segnali di autografia.
Ancora. Nell’Introduzione, nel paragrafo Analisi ed elenco dei sermoni, il p. Amore accenna a problemi di composizione, in particolare a questioni di stile e di autenticità; e per cinque sermoni, tutti con il tema di Lc 18, 38, conclude affermandoli autentici; dopo un’analisi minima dà «per ciascuno l’incipit e l’explicit sia per determinare l’attribuzione, sia per correggere qualche svista di lettura occorsa al primo illustratore»[36]. Come spesso, purtroppo, succede, anche se si tratta di cose divine, il diavolo ci ha messo la coda, e, proprio in questo elenco, si trova «qualche svista di lettura occorsa» al p. Amore, e il testo stesso dei sermoni lo conferma (mi auguro solo che ciò non accada a me pure). A riprova, del sermone di cui si è trattato sopra riporto la descrizione nella colonna a sinistra[37], mentre in quella di destra il testo dell’edizione[38] (uniformo i caratteri, per mettere in maiuscoletto le differenze; non segnalo però la diversa punteggiatura; ogni altra scritta è del p. Amore):
(f. 69va-70va): De contricione. Cor contritum et humiliatum Deus non despicies. Psalmus 50. Ubi tria notantur: primum la sua diffinicione, 2m la sua figuracione, 3m la sua inducione. Quantum ad primum: la sua diffinicione. – 6a in quo statu anima ponitur quia in peiori quam anima posset esse, quia abhominabilis. |
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(f. 69va) De Contricione. Cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies. Ps. 50. Ubi tria notantur: primum, la sua diffinicione; secundum, la sua figuracione; tercium, la sua inducione. Quantum ad primum, scilicet la sua diffinicione, tria sunt notanda … Sexta, in quo statu anima ponitur, quia in peiori quam anima posset esse, quia abhominabilis. |
Si tratta anche qui di minuzie, che, con l’omissione di scilicet, a livello di significato no toccano il testo. Pure in altri sermoni sono sfuggite delle differenze; qui riporto solo quelle del primo dei cinque sermoni «predicati a Napoli» con lo stesso tema di Lc 18, 38 (dai quali, ricordo, si traggono elementi di autenticità), lasciando ad altro momento il controllo del resto:
21. (f. 45va-46vb): De ieiunio. Jhesu fili David miserere mei. Luca 18. Ista sunt verba ceci quem ut caritas vestra audivit evangelium refret (sic) affectantis. Que verba, carissimi, necessario habetis cum ceco isto clamante dicere Christo Jhesu pro civitate ista… Ecce ascendimus Jerosolimam. Ubi notatur quod si ad celestem Jerusalem ascendere cupimus 7 sunt necessarii gradus. - Audite pauperculi et attendite fatui, magnum est quod dixi; et sicut ego in terra ita Dominus acceptat in gloria. Amen. Deo gratias. Amen. |
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De ieiunio. Jhesu fili David miserere mei. Luca 18. Ista sunt verba ceci que, ut caritas vestra audivit, evangelium refert affectantis. Que verba, carissimi, necessario habetis cum ceco isto clamante dicere Christo Jhesu, pro civitate ista… Ecce ascendimus Jerosolimam; ubi nota quod si ad celestem Jerusalem ascendere cupimus, 7 sunt veritatis gradus. - Audite pauperculi et attendite fatui, magnum est quod dixi et sicut ego in terra ita Dominus acceptat in gloria. Amen. Deo gratias. Amen. |
Un testo piú fermo è augurabile, poiché sorge il dubbio su quale definire autentico, trattandosi di autografo; e non sempre le mende sono veniali[39]. Sotto l’aspetto linguistico, in particolare, meraviglia un figiol contro figliol al sermone 24, se non è errore di stampa, poiché, stando alla Grammatica storica del Rohlfs dovrebbe assegnarsi all’antico padovano[40].
Matteo poeta?
La domanda ha già avuto una riposta, parlando della Lamentatio, il cui testo però merita maggiore attenzione[41]. Lo schema metrico è del tutto inusuale, perché in quartine di ‘endecasillabi incatenati’: ABBA/ BCCB/ CDDC/ DEED…; a me non risultano altri esempi. Poi, dato che il testo non deriva dal codice autografo, per la trascrizione dei copisti necessita di qualche emendatio negli errori evidenti: «O voi, che de’ figloli et cari morti, / avete el vostro core assai dolente, / piangate tucti et non cessate mente: / chiascun repúte, chi piú li piace, forti» (str. 18): mente dovrebbe essere niente, ‘piangete e non cessate mai, ciascuno pianga forte, come piú gli piace’; repute, a cui l’editore ha messo l’accento, accresce la lista dei pochi esempî di repotare, che il GDLI, s.v., definisce «di area centrale (in partic[olare] umbra, marchigiana e ab[ruzzese])»[42]; si aggiunga quel forti finale, che si trova in rima perfetta, ma apparentemente non è concordato con nessuno; difatti si tratta dell’avverbio siciliano, con -i, che fortunatamente la rima e i copisti hanno conservato[43]. E poi: «… gridando ad lata voce, o Creatore» (str. 19), forse errore di stampa per alta; e: «Jesu piangamo con piegato core» (str. 20), con la probabile allitterazione di piagato; ma occorre partire dai codici, per risolvere i problemi dell’anisosillabismo[44].
‘Vocazione poetica’ alla rima facile in strutture litaniche si incontra piú volte: si veda ad esempio il sermone De amore Dei[45], con una interminabile (e per noi cacofonica) sequela participiale in -ato:
Circa incarnacionem, vitam et mortem amantissimi Jhesu, humane generacionis clementissimus Salvator et Redemptor[46].
1) Per ti, Amore è incarnato. 2) Per ti, in la stalla nato. 3) Per ti, innel presepio reclinato. 4) Per ti, de panni vili et poverissimi la povirella Matre l’à infassato. 5) Per te, cu cultella de petra circumciso et insanguinato. 6) Per te, nel tempio presentato. 7) Per te, da lo impio Herode in Egipto fugato. 8) Per te, VII anni in grandi angustia et penuria exulato et scazato. 9) Per te, da la sua dulce Matre et Ioseph putativo patre tre dí absentato. 10) Per te, da Johan Baptista, suo servo, baptizato. 11) Pe te, nel deserto XL dí e XL nocti ieiunato. 12) Per te, dal dimonio temptato et impugnato[47]. 13) Per te, à predicato, et in multi miracoli corruscato. 14) Per te, al monte Tabor trasfigurato. 15) Per te, dal suo populo iudayco calupniato, reprobato et impugnato. 16) Per te, dal suo discipulo per preczo vilissimo venduto, traduto et fallato. 17) Per te, lu suo corpo et sangue, preciosissima memoria, t’à lassato. 18) Per te, al suo Patre onnipotente à orato. 19) Per te, de sudore sanguineo tucto è bagnato. 20) Per te, da li Iudei è priso et ligato. 21) Per te, à li occhi velati, bactuto, illuso e alla colupna ligato. 22) Per te, a Pilato falsamente accusato et portato. 23) Per te, da Herode de purpura vestito et beffato. 24) Per te, flagellato crudelmente et tucto insaguinato. 25) Per te, alla morte iniustamente dapnato. 26) Per te, de spini, che li passaro el zarvello, è coronato. 27) Per te, culla cruci in collo oppresso et fatigato. 28) Per te, da tucto lo proprio spoglato et denudato. 29) Per te, nella cruce in meczo dui latroni confixo et chiavato. 30) Per te, derisu et blasfemato. 31) Per te, è di fele et acito abiverato. 32) Per te, àve, per li sui crucifixuri, al Patre àve pregato (exemplo [per] chi non voli perdonare). 33) Per te, al latro il paradiso à donato. 34) Per te, al suo dilecto discipulo la sua afflicta Matre àve recommandato. 35) Per ti, al suo Patre lo spiritu à recommandato. 36) Per ti, lo spiritu à exalato. 37) Per ti, da la cruce è desciso et schiavato. 38) Per ti, al sepulcro è intumulato[48]. 39) Per ti, al limbo è desciso et li sancti patri à liberato. 40) Per ti, lo 3° dí è risuscitato. 41) Per ti, alli discipuli s’à dimostrato. 42) Per ti, al cielo, per ti apparichare in loco[49], è montato. 43) Per ti, lo Spiritu sancto ai discipuli à mandato.
Si ripercorre la Vita Christi, messa in risalto dall’anaforico per ti (certo piú dialettale di per te), e tutti i momenti sono marcati dal facile participio passato, tanto da obbligare a 16 e 37 ad un hysteron proteron; l’unica interruzione, non accettabile, sarebbe a 32, dove segnalo tra parentesi tonde il consiglio, mentre il per è integrato dall’editore; si potrebbero ancora mettere in evidenza giochetti etimologici («4. poverissimi la povirella Matre»); le iterazioni sinonimiche («8. Per te, VII anni in grandi angustia et penuria - exulato et scazato», «16. traduto et fallato»[50], «27. oppresso et fatigato», «28. spoglato et denudato», «29. confixo et chiavato»); la ripetizione sintattica di àve (habuit) a 32; il doppio recommandato di 34-35, unendo cosí il Padre con la Madre, etc.
Nel Sermo passionis Domini nostri Jesu Cristi[51], c’è, messo in evidenza dall’editore, un gruppo di versi, quasi tutti con anafora ecco (probabile ricordo, ma non parafrasi, del liturgico Ecce lignum crucis), con participi in -ato in rima e qualche assonanza litanica. Nello stesso sermone si aggiungano le citazioni iacoponiche e pseudo-iacoponiche, oltre ad una strofe di un testo utilizzato solo col primo verso nel De disciplina[52], che, stante la struttura di endecasillabi a schema ABBA, sembra autocitazione: «Aymè dolente, che pena angosciosa, / sente el mio core del mio dolce Figlio! / Moro, tapina, senza quillo mio gilglo! / Abassa uno poco la boca amorosa!» dice Maria lamentandosi.
Altre strofette sacre, di cui non è indicato l’autore, sono scritte in margine al sermone De audiendo verbo Dei:
Ihesú, summo splendore,
sperancia de’ peccatori,
di nostro obscuro core
sole sí[53] illuminante.
Ihesú, rosa divina,
d’ogni vertú repleta,
summa sí medicina
de tutti li infirmitati[54].
Escludo con quasi certezza che si debbano attribuire al beato, perché sembrano frammenti di una struttura del tipo xx/aaax, quasi perfetta la prima (al peccatore, oppure ai, con plurale maschile in -e, che riporterebbe il testo verso l’Umbria), emendanda la seconda (replina), dove anche appare evidente l’anafora sul nome Gesú, su cui è costruita la lauda stessa; lascia perplessi la x, per l’assonanza, se non si deve supporre un infirmante, che guarda piú agli uomini che non alle infirmitati. La scrittura sul margine, vergata forse a memoria, denota interesse e sensibilità per il contenuto, che però è un testo poetico. La riprova viene dal sermone XXXVI di N, in cui si leggono diverse strofe di un testo molto simile (la x è in -ato), pur se manca piú volte il rispetto metrico e della rima; ne riporto le prime:
O Yhesú, nomen suave, |
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del paradixo sí chiave; |
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fonte dolze, che lave |
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ly nostri grandi peccati. |
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Yhesú, nome infiamante |
5 |
el core di quelli toy amanti, |
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che cantano tutti quanti: |
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‘Amor, Yhesú incarnato’. |
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Ihesú, la toa dulceza |
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piena de suavicza; |
10 |
may non cade in tristicza |
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lo cuor che t’à assigiato [55]. |
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L’incipit corrisponde con quello riportato dal Tenneroni: Jesú, nome suave, / del paradiso chiave. Le imprecisioni metriche ed altro pare siano del copista, come il tempestate per tempestato, vera difficilior, mentre la voce è comune all’italiano antico.
Hanno tutta l’aria di proverbio questi due perfetti endecasillabi rimati e cesurati: «Tucti li beni che con cor non fay, / may son accepti né merito <’n>d’ày»[56]; mi sembrano citazione i versi: «Chi la dolczeza de Jhesú vol gustare, / primo amareza li conven assaggiare»[57], ed è proverbio anche: «Amico mio cortise, / como ày la intrata ti fa le spise»[58].
È evidente che quest’aspetto retorico, con il ricorso a proverbi e modi di dire, trova una doppia giustificazione, una da parte del beato, l’altra degli ascoltatori: la facilità delle rime e la cantilena di certi ritmi si imprimono con maggiore facilità, favorendo, con gli exempla, il ricordo degli argomenti trattati per produrre il frutto desiderato. Si aggiunga: ripetere testi iacoponici e laudistici, generalmente molto diffusi, era quasi un invito al canto, alla partecipazione diretta dell’uditorio.
Problemi di edizione del Quadragesimale e descrizione
Sul Quaresimale, trattandosi di codice unico e di copia, bisogna lavorare ope ingenii nei casi in cui la lingua sia corrotta per causa del copista e quando non si riesca a cavare almeno un significato. Sorte vuole che nel Quaresimale si ritrovino, non perfettamente trattati nello stesso modo, argomenti dei Sermones varii[59]; ciò dà la certezza di alcuni errori, a volte spiegandone la possibile genesi.
Per prima cosa leggiamo la Tabula iniziale, con il rimando alle carte (che trascrivo nella colonna centrale, dove si noti che al n. 25 si cambiano le cifre, dalle arabe si passa alle romane), cosí che ci si possa rendere conto degli argomenti, confrontandola anche con i titoli apposti al testo, nella colonna di destra (dove metto in corsivo le aggiunte); il numero nella colonna iniziale è segnato per comodità e chiarezza di esposizione; indirettamente, si ha la descrizione del codice:
Hec est tabulla huius libri:
1. De ieiunio |
1 |
1r. [Senza titolo] |
2. De ligno paradixi |
6 |
6r. Feria 5. Sermo. De ligno paradixi |
3. De temptatione |
12 |
11v. Sabbato sequitur sermo de temptacione |
4. De fructibus ieiunii et de gloria paradixi |
17 |
16v. Dominica prima 4e [sc. quadragesimae]. Sermo de gloria paradixi et de ieiunio |
5. De finally iuditio |
27 |
26v. Feria 4a prime ebdomade 4e. Sermo |
6. De Cananea: quomodo conversa est ad penitentiam |
32 |
31v. 2 Feria 4a prime ebdomade. Sermo de Cananea |
7. De cruce |
36 |
36r. Feria 6a prius primam dominicam. Sermo de cruce |
8. De Domina |
41 |
40v. Sabbato post primam dominicam. Sermo de Domina nostra. |
9. De Transfiguratione |
42 |
42r. Dominica 2a in Quadragesima. Sermo bonus |
10. De humilitate |
40 (sic) |
50r. Feria 3a 2e ebdomade. Sermo de humilitate |
11. De peccato |
46 |
45v. Feria 2a prius 2am dominicam Sermo de peccato |
12. De predestinatione |
53 |
43r. Sermo [ms. sera] de predestinatione. Feria 4a 2e ebdomade |
13. De inferno |
57 |
56v. Feria 5a 2e ebdomade. De inferno |
14. De anima |
61 |
61r. Feria 6a 2e ebdomade. Sermo de anima |
15. De virgine Maria |
67 |
66v. Sabbato 2e ebdomade. Sermo de virgine Maria |
16. De malis que facit peccatum in anima |
70 |
69v. Dominica 3a in 4a. Sermo de macula peccati |
17. De contemptu mundi |
72 |
72r. Feria 2a 3e dominice. Sermo et de contempu mundi |
18. De corectione fraterna |
79 |
79r. Feria 3a 3e dominice. Sermo de corectione fraterna |
19. De veneratione paterna |
84 |
84v. Feria 4a 3e dominice. Sermo de veneracione paterna |
20. De peccato |
90 |
90r. Feria quinta tercie ebdomade. Sermo de peccato |
21. De passione Domini |
93 |
93r. Feria 6a 3e dominice. Sermo de passione Domini |
22. De Domina nostra |
97 |
97r. Sabbato 3e dominice. Sermo. De Domina |
23. De v panibus et vij petitionibus que fiunt in oratione dominica |
103 |
103r. Dominica 4a in Quadragesima. Sermo |
24. De usura |
107 |
107r. Feria 2a 4e ebdomade. Sermo de usura |
25. De amore versus Dominum |
cxij |
cxijr. Feria 3a 4e ebdomade. Sermo de amore versus Domini[60] |
26. De confessione |
cxix |
cxviijv. Feria 4a 4e ebdomade. Sermo de confessione |
27. De misericordia Dei versus peccatores |
cxxxiij |
cxxxiijr. Feria 5a 4e ebdomade. Sermo de misericordia Dei |
28. De confessione alter sermo |
cxlj |
cxljr. Feria 6a 4e ebdomade. Sermo de confessione 2us |
29. [Manca] |
|
cxlijr. Sabbato 4e dominice. Sermo de Domina. Ego sum lux mundi. Iohannis 8 capitulo. Require in alio libro |
30. De confessione 3us sermo |
cxlvj |
cxlvijr. Dominica 5 4e. Sermo de confessione |
31. De avaritia |
clvj |
clvv. Feria 3a 5e dominice. Sermo de avaritia [Titolo ripetuto due volte, nella stessa carta] |
32. De contrictione |
clj (sic) |
clv. Feria 2a 5e dominice. Sermo de contricione |
33. De fide |
clxiij |
clxiijv. Feria 4a 5e dominice. Sermo de fide |
34. De Maria Magdalena |
clxvj |
clxvjr. Feria 5a 5e dominice. Sermo de Magdalena |
35. De sanguine Christi |
clxxiiij |
clxxjv. Feria 6a 5e dominice. Sermo scilicet de sanguine Christi Ihesu |
36. De nomine Yhesu |
clxxij (sic) |
clxxxjr. Dominica in palmis. Sermo de nomine Yhesu |
37. De restitutione |
clxxxxij |
cxcijr. Feria 2a ebdomade sancte. Sermo de restitutione |
38. De corpore Christi |
cxcviij |
cxcvijv. Feria 3a ebdomade sancte. Sermo de corpore Christi |
39. De Domina nostra |
cciij |
ccijv. Feria 4a ebdomade sancte. Sermo etc. De Domina |
40. De oratione |
ccix |
ccixr. Sermo de oracione |
41. De matrimonio |
ccxij |
ccxxiijr. Sermo de matrimonio |
42. De resurrectione sermo |
ccxviij |
ccxviijr. In resurrectione Domini sermo |
43. De resurrectione 2a feria |
ccxxv |
ccxxiiijv. Feria 2a Pasce. Sermo |
44. De anima ............ 3a feria |
ccxxviij |
ccxxviijr. Feria 3a Pasce. |
Explicit tabula huius libri. Amen.
Per continuare la descrizione, bisogna aggiungere che N, almeno guardando le foto, è composto di cc. ccxli, oltre a quella che funge da coperta, e, come detto, sul verso della prima non numerata c’è la Tabula e sul recto dell’ultima si nota la piegatura di un altro foglio, aggiunto per protezione, mentre si intravede, speculare, un testo in grafia gotica: si tratta di un foglio riutilizzato. L’explicit è scritto a c. ccxxxiir, perciò tutti i sermoni si devono alla mano di Ulrico, che sottoscrive, lasciando uno spazio bianco per circa metà della stessa carta; sul verso, continuando fino alla fine del ms., una mano, forse quella che ha scritto il titolo (ma non la Tavola), ha copiato dei brani, con una gotica minuscola rotondeggiante; anzi nel suo lavoro si vedono alcuni incipit, taluni solo capoversi, nei quali la lettera iniziale non è scritta, ma c’è il quadratino vuoto che un rubricatore avrebbe dovuto riempire. Il primo discorso, sull’incarnazione, è senza titolo; tre quarti di c. ccxxxivr e tutto il verso non sono scritti; segue poi un De corpore Christi e vari frammenti. Il copista pare francescano, poiché sul bordo superiore delle cc. ccxxxiiir-v e ccxlr si trovano abbreviati Yhesus, Maria, Franciscus. A cento anni circa da quando fu copiato, il codice apparteneva sicuramente a un francescano, a colui che proprio in fondo all’ultima carta scrisse, con grafia diversa da tutte le altre, la nota di possesso:
Iste liber est fratris Marinangelus de Nocera
Frater Protasius de <Eu>gubinatis[61] dedit, in 1537 [?], 3 die Iulius.
La prima questione che si impone è quella dell’autenticità dei sermoni singoli e di tutta l’opera, poiché la paternità di Matteo è attribuzione di mano diversa da quella del copista principale. Comparando un locus dei Sermones varii con il Quadragesimale, salta agli occhi evidente il problema dell’autore. Nei Sermones varii, in quello De ieiunio, ad un certo punto si legge:
Exempla quatuor iuvenum murmurancium atque dicencium: O frater Mathee, dic quidquid libet et quantum vis clama, nolumus ieiunare…[62]
Il beato sviluppa tutto l’esempio e passa in rassegna i suoi quattro giovani, dando loro nomi biblici, chiamando il primo Pietro, il secondo Paolo, il terzo Giovanni, l’ultimo Andrea, vivacizzando le loro obiezioni e risolvendone le quaestiones. In N al sermone De ieiunio, che apre il Quaresimale (ma il titolo è preso dalla Tabula), al f. 3r-v, si ha quasi identica drammatizzazione, pur se mancano i nomi degli obiettori, due dei quali si rivolgono al predicatore dicendo[63]:
“Quomodo, frater A., possum ieiunare? Non sum usus, noceret mihi, oportet me conmedere ante terciam”. […] Item interrogo te alium, qui dicis: “Frater A., noli loqui mecum de ieiunio ullomodo, quia non possum ieiunare, sum mercator”.
Proprio il nome del predicatore è diverso, poiché nei Sermones varii si legge «O frater Mathee»[64], mentre in N per due volte e senza equivoco nella lettura, dato che nella stessa c. 3r si ha il verbo Amo e A·ccasa, con maiuscola e raddoppiamento fonosintattico, «frater A.»: la grafia è certa. Poiché il resto della trattazione dei due sermoni è abbastanza simile, ipotizzo due soluzioni: o il predicatore di N, cioè frater A., ha avuto una fonte comune con Matteo, e pertanto questi non ne è l’autore, in piena contraddizione con quello che è il titolo del Quaresimale, ma, ricordo, non del primo copista; oppure questi ha confuso una M con una A. Poiché le varie integrazioni a cui è costretto l’editore sono spesso causate da frate Ulrico, a lui si può anche attribuire la confusione tra le lettere; e, poiché la corrispondenza del contenuto pesa a favore di Matteo, ritengo che il problema del nome qui sia di secondaria importanza. Inoltre, chi ha aggiunto titolo e nome, avrà avuto un apografo o una tradizione orale, che, stando al contenuto del resto del codice e non solo del primo sermone, non pare facile smentire. Si deve però mettere in risalto un particolare: la mano che ha scritto il titolo, cioè Quadragessimale fratris Mathei de Cicilia, ordinis minorum, l’avrà sicuramente fatto dopo il 19 giugno del 1448, data in cui Ulrico finisce la copia; Matteo era stato nominato vescovo di Agrigento nel ’42 e consacrato nel ’43, come ricorda il p. Amore[65]: perché questa dignità, che darebbe maggiore lustro ai sermoni stessi, non è ricordata? Nonostante questo, considerando che il Quadragesimale, per la sua struttura compatta, è un unicum e non un ‘insieme di sermoni’ o un’antologia, come invece è il codice di Capestrano, si può presumere che tutti i sermoni provengano dallo stesso autore; e, se il circolo non è vizioso, si deve pensare all’autenticità come alla soluzione piú economica, che diventa la sua forza filologica, fino a prova contraria[66]. Forzato mi parrebbe volere intendere frater A. come frater Agrigentinus, ché forse sarebbe del tutto eccezionale chiamare un frate non con il nome del paese di origine[67]. Non passi inosservata un’altra ‘anomalia’ dei Sermones varii, esattamente di quello De servitio Dei seu de vita christiana, conservato però da un altro codice e non da quello di Capestrano; in esso, secondo il p. Amore, ci sono «alcune pagine la cui rassomiglianza con il codice capestranese, sia per la scrittura come per il contenuto, è talmente evidente da non lasciare dubbio alcuno che anche quei fogli siano opera del b. Matteo d’Agrigento»[68]; ed ivi si legge: «O frater Antoni, quid nobis dabit si sibi perfecte serviemus?»[69]. L’editore non si è soffermato sul problema; e, dato che abbiamo quello di frater A., bisogna almeno affrontarlo. Lo stile è drammatico, adatto per fingere di rivolgersi al predicatore da parte di chi ascolta, come nel sermone sul digiuno e come in tante prediche di san Bernardino e di altri. Come mai frater Antoni? La soluzione non viene data dal manoscritto, poiché il predicatore si serve delle parole di Paolo: «Respondit Apostolus: Quod oculus…». Lo scrittore, dunque, non risponde, e a me pare che la domanda, piú che avere una risposta, si moltiplichi: Frater Antoni è un nome ‘proprio’? un nome a caso? un nome ‘esemplare’? Certo che la A., se si riuscisse a dare una risposta alle possibili ipotesi, avrebbe valore e peso diversi per dirimere la questione. Col tempo, sono mutati i ‘nomi esemplari’ comunemente adoperati: a Martino e Berta usati da Dante oggi nessuno penserebbe, preferendone altri, quali nel passato recente Tizio, Caio e Sempronio; anche Pietro è servito per indicare ‘un individio qualunque’[70]: il beato Matteo, oltre ai nomi apostolici sopra detti, usava una A.? O forse il sermone De servitio Dei, se la grafia è del beato, riporta il testo di un altro?
È indubbio invece che l’autore di N è francescano («Franciscus, pater noster», scrive nel IV sermone; e nei primi tre il santo è nominato ben sei volte), e compagno di Bernardino, come dimostra il sermone XXXVI del Quadragesimale sul nome di Gesú, in cui, per lodarne l’eccellenza, si legge che, mentre a Padova fra Bernardino predicava, una donna si alza affermando di essere stata liberata da molti demoni nel nome di Gesú; e poi: «predicante me in Urceis Novis, in territorio Brichensi (?), quedam incantatrix vetula habebat secum demones…»; ma anche qui il nome di Gesú è efficace: il ricordo di Bernardino e il nome di Gesú sono una strada dritta verso Matteo.
Se ci chiediamo per chi e quando fu scritto il Quadragesimale, al momento non riesco a trovare alcun appiglio per stabilire il quando; per conseguenza, resta non risolta l’altra domanda; e non sapppiamo neppure il luogo di predicazione, e, al limite estremo, se mai sia stato effettivamente predicato (non nella forma come è giunto a noi, ma almeno come traccia di sermoni)[71]. Dall’analisi interna del testo, in alcuni momenti sembra che si rivolga a religiosi, in altri ad un pubblico composito: neppure dunque gli ascoltatori si possono individuare, se non accettando l’ipotesi: ‘traccia, con esteso sviluppo, di sermoni, che si devono adattare a luoghi e persone’. Tutti questi interrogativi ed altri che nel corso del lavoro certamente sorgeranno[72], spero che, almeno in parte, possano trovare risposta nell’edizione, grazie alle competenze dell’amico Pietro Sorci, che si occuperà in modo particolare degli aspetti storici e delle fonti.
Errori d’autore?
Analizzando, per motivi comprensibili di spazio, almeno una predica - ma dovrei meglio dire ‘gli appunti’ -, come campione minimo e spero significativo, si vedranno errori di ogni tipo, che, proprio per l’usus scribendi dei Sermones varii, non si possono addebitare all’autore e pertanto devono attribuirsi al copista, che trascrisse il codice quando Matteo era ancora in vita. Mi sembra superfluo ricordare che questo studio è soprattutto sondaggio dei problemi filologici e non si inoltra in analisi letterarie o teologiche; sui contenuti mi soffermerò solo se necessario, per avere maggiore conferma di quella autenticità apparentemente negata dalla scrizione frater A.
Per dimostrare che gli errori sono del copista, analizzo una citazione dal sermone della Dominica prima, in cui si tratta del digiuno, strumento contro le tentazioni carnali. L’esempio è tratto dalla famosa epistola di Girolamo ad Eustochio, di cui riporto a sinistra il testo del Quadragesimale e quello del CSEL a destra:
Sic faciebat Ieronimus, sicut testatur in epistola ad Eustogium: «Ille laudatur, ille predicatur beatus qui statim ut parcet cogitare inter sicut cogitatus, allidit[73] eos ad petram, petra autem erat Christus. Quociens enim ipse in heremo constitutus et in illa vasta solitudine, que exusta solis ardoribus, horridum monachis prestabat habitaculum, putabam[74] in heremis interesse deliciis. Sedebam solus, quia amaritudine repletus eram. Horrebam sacco menbra deformis squalita cute situm Ethiopis se carnis adduxerat. Cottidie lacrimas[75], cottidie gemitus et si quando repungnacionem sompnus inminens oppressisset, nudus humo vix ossa habentia collidebam. |
|
- - … ille laudatur, ille praedicatur beatus qui, statim ut coeperit cogitare, interficit cogitatus, et elidit eos ad petram; petra autem est Christus. O quotiens in heremo constitutus et in illa uasta solitudine, quae exusta solis ardoribus horridum monachis praestat habitaculum, putaui me Romanis interesse deliciis! sedebam solus, quia amaritudine repletus eram. horrebam sacco membra deformis, squalida cutis situm Aethiopicae carnis adduxerat. cotidie lacrimae, cotidie gemitus et, si quando repugnantem somnus inminens oppressisset, nuda humo vix ossa haerentia conlidebam. (Ep. XX. 6-7) |
Del brano, in piú punti incomprensibile, la fonte chiarisce, dicendo nel contempo che una persona sensata, che capisce quel che scrive, non può arrivare a deformazioni cosí pesanti, come parcet, in heremis, etc; la fonte, dunque, ha doppia funzione: fa vedere tutte le varianti, compresi gli errori, perché tradiscono il significato; aiuta nella ricostruzione del testo. E, poiché al predicatore stava a cuore lo spirito e non la lettera, il significato deve reggere; la citazione, che nel testo continua, in un certo senso fa pensare che anche alla lettera Matteo non fosse indifferente; perciò diverrebbe piú necessario l’emendamento. Non escludo, infine, che ci siano anche errori d’autore, come già si è visto nei Sermones varii; ma bisognerà dimostrare che siano effettivamente tali, e non dell’intermediario sicuro, frater Ulricus, né sappiamo se N derivi dall’autografo; per i Sermones varii, invece, abbiamo la certezza di errori autografi.
Il predicare ed il Sermo Primo
Riporto dunque il primo sermone, mettendo in risalto solo alcuni punti e relegando in nota vari problemi. Classico il metodo, che prende spunto da una frasetta biblica, talora spiegata, ma sempre analizzata e distinta in varie parti; queste poi saranno guida per continue distinzioni e sottodistinzioni, in una specie di diramazioni multiple. Poiché quasi sempre le distinzioni sono in volgare, trova conferma che questo fosse la lingua ‘del pensiero’ (punto di partenza e luogo delle riflessioni), e forse anche ‘della predicazione’; la lingua dello scrittore è, invece, la lingua mescidata[76]. Sono da evidenziare, oltre ai raccontini accennati o sviluppati, anche gli inviti all’azione, quasi alla teatralità del gesto predicante; cito in particolare quello del De disciplina, in cui si rivolge all’uditorio, a proposito delle fatiche che bisogna fare per ottenere qualcosa: «Interroga doctores, predicatores: antequam essent taliter docti, quantum prius fuerunt angustiati. (Hic narra passiones, vigilias et suspensionem capillorum et alias penas)»[77]: l’accenno al tirarsi i capelli è fortemente plastico; nel De confessione: «Hic exclama contra magas similiter facientes et dic: O pueri, post ipsas sonate et postea clamate: ‘Alla vecchia rencagnata!’ pluries»[78]: invito piú esplicito alla gazzarra contro le fattucchiere non si potrebbe dare; ma la sorpresa viene da vecchia rencagnata e simili, espressione di Bernardino da Siena[79]. E con il santo il nostro ha in comune anche «la messa in scena», come intitola L. Bolzoni un paragrafo sulla predicazione di Bernardino[80].
Nel Quadragesimale si trova qualche elemento simile: nel sermone XXXI: «Aliud exemplum de illo sacerdote, qui veniens ad mortem dicebat: ‘Dove è la chiave della cassa?’ Fac actum cum manu, quasi velis accipere» (c. clviiijv), cioè ‘fingi di volere aprire, col gesto di girare la chiave, per prendere’. Talora si ha una accumulazione di esempi, alcuni sviluppati, altri accennati. Si veda il Sermo III, dove, per dimostrare la necessità della tentazione come esperienza che fa superare il male, riporta il caso del
bonus armiger [qui] expertus fit in magnis periculis; unde solet dici quod tunc congnoscitur, cum, semel percussus sit in bello, signum portat percussionis et sic doctus periculosa aggreditur. Exemplum de nautis in procellis magnis: ideo quia sunt experti liberantur a fluctibus. Nullus capitaneus potest esse bonus si non habet corpus et caput incisum in bello. Et sic patet quod temptacio seu tribulacio illuminat. Exemplum de lo regaczo, qui equitat, cadit et frangit brachium; clamat: “O, o, o!”. “Chomo fecisti?”. “O, dimisi briliam”. “Non fare piú, teni sempre la retina”; et sic illuminatur ad illud. Alias: cadit et frangitur caput: “O, o, o!”. “Como fecisti?”. “O, e’ coreva e andava saltando e non stri<nsi> nelle cosse”[81]. Et sic illuminantur. Exemplum ferri: quanto magis limatur, tanto magis sblendet (cc. 12v-13r)[82].
La catena si potrebbe allungare, in questa complessa mescidanza linguistica e di situazioni vive, possibili, spesso anche vere, tratte dalla storia sacra, dalle vite dei santi, da esempi ‘scientifici’: «Exemplum David: dic historiam. Exemplum eciam beati Francisci. Exemplum eciam aliorum sanctorum. Discurre quia aqua non mota putrescit» (c. 14r). Anzi, persino una sferzante ironia, e quasi scandalosa per la nostra moderna (e anche ipocrita) sensibilità, séguita per chi si finge perfetto:
Aliqui dicunt se vidisse virginem Mariam. Quomodo virginem Mariam? Quod si unum aliud vitrum vini assumpsissent[83], vidissent omnes sanctos et Deum! Dic quod oportet esse bacculus trium palmarum et dari, quod ille videret melius. Paczo! Sine morato! (c. 13r).
Nel Sermo I, assunta l’espressione evangelica Cum ieiunatis di Matteo, si dice che bisogna fare triplice distinzione, ma, prima di definirla, una nota accenna ad una interpretazione spirituale, poiché il digiuno «est subtraccio cibi et potus peccatorum». Si passa ai tre punti: «Primo: la sua diffinicione; 2°: la soa obligacione; 3°: la sua fructificacione». Segue una definizione non astratta, ma tripartita: «primo: uno spirituale, del peccato mortale; secundo: uno afflictivo, del gaudio temporale; tercio: uno corporale, del cibo materiale». Accennati i primi due, il terzo, quello corporale, subisce un’altra triplice divisione, potendo essere «naturale, virtuale [‘virtuoso’], ecclesiastico»: il secondo si identifica con la temperanza e se ne discutono i meriti; maggiore spazio necessita per il terzo tipo, perché bisogna anche ricordare i tempi di digiuno. Come in un incastro, abbiamo seguíto tre, altre tre, ed altre tre suddivisioni.
Poi viene il secondo tema principale: chi è obbligato al digiuno? Triplice distinzione anche qui, poiché bisogna tenere presenti gli obbligati, gli esentati, i modi del digiuno. È questo il cuore vivacissimo della predica, in cui Matteo ‘recita’ al modo di san Bernardino e degli altri. La predica scende a toccare le varie categorie presenti; e la sensibilità del predicatore si manifesta nella lunghissima lista di tredici gruppi esenti dal digiuno[84], per vari e validi motivi, alcuni dei quali magari ci fanno sorridere: si pensi al medico che preassaggia la medicina dell’infermo o al servo assaggiatore alle mense dei nobili per paura di avvelenamento o al lettore nei conventi che potrebbe venir meno! Infine, si passa a sette condizioni per digiunare in modo gradito a Dio. La suddivisione è rimasta triplice; ma dopo avere obbligato tutti dai 20-21 anni, ecco tredici ramificazioni per le eccezioni e un settenario per digiunare bene.
Il terzo punto principale, «la soa fructificacione», viene rimandato, essendosi il beato forse reso conto che il sermone correva il rischio, per lungaggine, di diventare infruttuoso; ne parlerà infatti nella domenica successiva: De fructibus ieiunii et de gloria paradixi.
Per dare maggiore forza al suo dire, il predicatore ricorre alle consuete auctoritates; si vedano nel sermone primo: Matteo, Tobia, l’Ecclesiastico, il Cantico, i Salmi 43 e 50, Isaia, Gioele, Paolo ai Romani e ai Corinti, Pietro, Giacomo; Crisostomo, Girolamo, Agostino, Isidoro, Riccardo de Mediaville, l’Aquinate, Guglielmo[85], Nicolò di Lira, la Glossa, il Decretum.
Quasi inesistenti gli exempla, se si eccettuano quelli del magister Deoegenes e di Tobia, mentre è dato maggiore spazio agli pseudo-interventi dialogati con il pubblico.
<I. De ieiunio>
Cum ieiunatis. Mathei 6 capitulo.
De isto[87] sacro ieiunio tria debemus contemplare. Nota quod[88] est subtraccio cibi et potus peccatorum.
Primo: la sua diffinicione;
2°: la soa[89] obligacione;
3°: la sua fructificacione.
Circa primum, nota 3a ieiunia ante diffinicionem:
primo: uno spirituale, del peccato mortale;
secundo: uno afflictivo, del gaudio temporale;
tercio: uno corporale, del cibo materiale.
Primum, quod est spirituale, est illud quod est meritorium et quod est maximum ieiunium: De consecratione, distinctio 5[90], capitulo: Ieiunium. Quod patet quia omnia[91] alia ieiunia fiunt[92] per istud tamquam propter finem, unde alia omnia sine isto ieiunio nichilominus[93] valent, quia non valent abstinere a cibo et offendere Deum, quia sacrificium Deo est spiritus contribulatus [Ps 50, 19], unde Ysaie 58: Quare ieiunavimus et non aspexisti; humiliavimus animas nostras et nescisti? Et respondet Deus: Ecce ad lites et contenciones ieiunetis et percutitis pugno inpie. Nolite ieiunare usque ad hanc diem ut audiatur in excelso clamor vester. Numquid tale est ieiunium quod elegi: per diem affligere hominem animam suam? Numquid <… Numquid>[94] istud vocabis ieunium et diem acceptabilem Domino? Numquid hoc est maius ieiunium quod elegi? Dissolve colligacionis impietatis, solve fasciculos deprimentes, dimitte eos qui confracti sunt liberos, et omne onus disrumpe; frange esurienti panem tuum, egenos vagosque induc in domum tuam. Cum videris nudum, operi eum; et carnem tuam ne despexeris. Tunc <… Tunc> invocabis et Dominus exaudiet; clamabis et dicet: Ecce adsum. Unde istud est verum ieiunium: peccaverunt oculi? fac e<o>s[95] ieiunare; et ita de omnibus /f. 1v./ aliis menbris.
Secundo: uno afflictivo <del> gaudio temporale, scilicet quando quis se abstinet a gaudio temporali. O! o!, quantum est bonum et dispositum ad primum! O iuvenes, abstinete vos a carnalibus desideriis que militant adversus animam: Prima Petri, 2° capitulo, sicut cantare et ballare etc.
Tertium est uno[96] corporale del cibo materiale, quod diffinit Ysydorus in communi. Quid est abstinencia? Parcimonia virtus abstinencia ciborum. Quod potest es<se>[97] triplex: naturale, virtuale[98], ecclesiastico.
Primum est in quolibet, cum est ieiunus in mane; quod, ut sic, non est virtus, secundum Richardum in quarto, Distinctio 15, quia hoc eciam reperitur in lupo in nemore et ali<is> animali<bus>[99]; quod est falsum[100].
2m est virtus, quia est actus abstinencie, que est pars temperancie. Unde dicit Richardus, ubi supra, quod est cum quis summit[101] sibi cibum et potum ratione regulata, et illud est meritorium si propter Deum fit; unde, si quis argueretur quod non est virtus, quia omnis virtus est in operando, sed cum ieiunium[102] dicat cessacionem ab actu commestionis, ergo non est virtus; item quia omnis virtus est qualitas mentis, istud est corporis actus, ergo etc. Dicitur ad primum: illud ieiunium nominat actum operacionis, secundum quam quis se regulat secundum consonum dictaminis racionis. Ad 2m dicitur quia in tali abstinencia dupplex est actus: unus interior, qui est velle frenare gustum a delectacionibus qui sunt in cibo et potu; alius exterior, qui est ipsa frenacione corporali[103]. Primus est virtute et licitus, 2us est ab ea imperatus, secundum Richardum, ut supra. Nota quod hoc ieiunium institutum est in memoriam passionis Christi. 2o, ut dignius preparemus ad recipiendum corpus Christi, secundum /f. 2r./ Richardum.
3m est certissimum et hoc est preceptum ab Ecclesia in diversis temporibus, exemplum nam[104] sicut est in Quadragesima: est generale: Distinctio 96, capitulo: Quadragesima, et capitulo sequenti. Item quatuor temporum, ut Distinctio 78 et capitulo sequenti et capitulo: «Statuimus ut quatuor temporibus hoc ordine celebrentur: primum, inicium 4e; 2m in ebdomada Pentecostes; 3m in semptembre; 4m in decembre, more solito fiat». Et hec ieiunia, secundum Richardum, instituta sunt ad espiandum peccata que committimus per annum. Item 3es dies rogacionum ante Ascensionem: De consecracione, distinctio tercia, capitulo: Rogaciones. Sed ut dicit Glosa ibi, hoc non precipitur sed suadetur. Item omnes vigilie apostolorum, exceptis Phylippi et Iacobi, Iohannis ewangeliste et Barnabe, eo quod prima venit infra Pascam et Pascam[105], 2a infra Natalem Domini, ut dicitur Extra, De observancia ieiuniorum, capitulo Consilium; et, secundum idem Consilium capitolum, vigilie Nativitatis Domini, Pentechostes, Ascensionis, vigilia Iohannis Baptiste et sancti Laurencii et omnium sanctorum. Et si in aliqua civitate vel diocesi est aliquod ieiunium consuetum, licet non sit preceptum per vi<m>[106], tamen nichilominus observandum est ab illis qui stant ibi, ut dicit Decretum, distinctio i: Consuetudo, et distinctio 2: Ecclesiarum. Unde istud ecclesiasticum ieiunium sic diffinitur: ieiunium est subtraccio cibi et potus, racione regulata secundum statutum Ecclesie, ordinata ad satisfaccionem peccatorum. Sed notandum[107], secundum Ricchardum, quod istud ieiunium cadit sub precepto ecclesiastico et positivo, seu scripto, solum quantum ad tempor<a>[108] et modum; racione autem prohibicionis peccati et vicii sub lege nature, primo licet hoc 3r precipiat Ecclesia. Idem dicit Thomas, 2o 2e 147, unde licet quod unusquisque /f. 2v./ satisfaciat pro peccatis preteritis. Porro debet ieiunare propter evitare futura, quia interdum potest[109] satisfacere de preteritis, sed et propter evitare futura ordinatum est.
Queritur si tunc ieiunare debemus diebus dominicis. Respondeo secundum Thomam 2a 2e q. ix: id est non, quia est dies leticie; et, contra facientes, non essent a peccatis immunes, secundum eum, nec esset christianus.
Circa[110] secundum principale, scilicet la sua obligacione, tria sunt consideranda: im, qui sunt obligati; 2m, qui sunt excempti; 3m, quomodo debent esse condicionata.
Ubi notandum quod ad supradicta ieiunia ligantur omnes fideles, mares et mulieres, tam religiosi quam seculares, cum perventi fuerunt ad etatem ultimam 21 annorum supra; sed infra etatem ist<a>m[111] excitandi sunt ad ieiunandum, sed interdum plus vel minus secundum fortitudinem vel debilitatem conplexionum; sed maxime illi qui transierut vigesimum annum obligantur sub pena peccati mortalis et dampnacionis ad ieiunium. Et vos, patres et matres[112], debetis conpellere filios vestros ad hoc, et Deus dabit eis gratiam, sicut sunt Neapolim[113].
Sed heu, inimici Dei non curant ieiunare, sicut obstinati et gulosi omnes excusant se, sed ante illum qui novit abscondita cordis [Ps 43, 22] non valebunt aliqua <et> aliqua illicita excusacio, quia multi se excusant qui non habent veram excusacionem. Sed responde mihi, tu qui te excusas; interrogo te ex parte Dei: “O peccatore, potes tu ieiunare?” et respondens: “Non”, cum enim haberes calculum in oculo et medicus diceret tibi: “Si vis sanari, ieiuna xla dies[114], in conmedendo semel in die /f. 3r./ et non bibes vinum”, faceres? respondens: “Ymo”. Ergo, o bestia, quomodo poteris excusari ante Deum, quando propter carnem putridam abstineres et non propter animam, cum anima sit corpore preciosior in infinitum, si dici posset! Item, interrogo te aliu<m>[115]: “Vis ieiunare?” Respondes: “Quomodo, frater A., possum ieiunare? ([116]) Non sum usus, noceret mihi, oportet me conmedere ante terciam”. Cu<i> e<g>o[117]: “Bene. Amasne aliquam pulcram mulierem?”; respondens: “Amo”; bene, si quis diceret tibi: “Vis stare ista nocte discalciatus in sereno et non bibes vinum neque conmedes nisi panem et aquam et faciam te habere eam?” faceres? qui respondens: “Ymo, non solum ista, sed eciam maiora istis pati volo”. Exclama: O mundo ciecho, o mundo paczo! Meiore fare penitentia è per andare in paradiso che per andare a·ccasa de dyavolo? non volere ieiunare per una miser<a> delectacione carnale, per la quale ne perde l’anima e ’l corpo? vole<r>e[118] ieiunare e per aquistare quello inconmutabili e infinito bene, per lu quale l’anima e lo corpo sempre essere felice[119]. Non, non posse ieiunare! Quid respondebis Deo tibi ista proponenti, o peccatore?[120] Item interrogo te alium, qui dicis: “Frater A., noli loqui mecum de ieiunio ullomodo, quia non possum ieiunare, sum mercator”. Cui ego: “Quantam pecuniam vis lucrari?”; respondens: “Centum ducatos”; cui ego: “Vis stare per quadraginta dies in navi in mari et patiaris multas angustias et pericula, non bibes nisi aquam putridam et commedes panem vermibus plenum, et promitto quod mille lucrabis ducatos?”; respondens: “Omnia mala volo sustinere ut possim bene lucrari”. Ergo, o miser, o fatue, propter posse bene /f. 3v./ lucrari pecunias vis ieiunare; et propter lucrari regnum celorum et vitam eternam? Alii dicunt quod habent malum capud; alii dicunt quod habent malum stomachum et ita omnes se excusant. Sed ante illum qui omnia novit? Et ita conclude quod ad huiusmodi ieiunia omnes obligamur nos, quia possumus. Per la bocca intrò el peccato in Adam [cfr. Rom 5, 12] e noy, e per la bocca bisognia el remedio et exterminare.
Bene, frater, postquam nos obligamur ieiunare, secundum quod dicitis, doce[121] nos in diebus ieiuniorum hora conmedendi. Ab ecclesia est hora nona, quia sic ut est consuetudo. Unde cum dicitur De consecratione, distinctio prima, capitulo: Solent, quod nullatenus ieiunare credunt, qui manducant antequam vespere celebrentur officium et fra<ngitur ieiunium>. In ieiuniis quatuor temporum hora vespertina etc. Sub hora vespertina prandendum est tempore ab hora nona inclusive ut ultra, nec oportet preterire[122] a capite hore none; si enim per modicum tempus ante horam none conmedatur, non propter hoc frangitur ieiunium. Et licet illi qui conmedunt post sextam statim derogetur in alio perfecti ieiunii, non tamen sunt transgressores, illaque est necessitate in ieiunio, maxime cum cunsuetud<ines>[123] in aliquibus partibus valint conmedere statim post secundam vel tertiam. Idem dicit Thomas 2a 2e q. 147.
Sed queritur a quibus cibis est abstinendum. Respondeo, secundum Richardum in 4 distinctio 15, ab omnibus lacticiniis. In aliis autem temporibus ieiuniis fac secundum mores patrie; sed in omnibus generaliter usus carnis est interdictum. Thomas 2<a> 2<e> q. 147.
Quantum[124] ad 2m, qui sunt excepti, ubi nota quod tantum excepti sunt 13cim genera personarum. Hic dico confessoribus quod non absolvant illos qui non ieiunant nisi haberent legittimam causam. Primo, pueri per 3es raciones, secundum Richardum in q. 15: prima, quia in eis est caloris naturalis magnitudo, /f. 4r./ que multum consummit; 2a, quia nutrimentum in eis est causa operacionis duplicis virtutis, scilicet nutritive et augmentative; 3a, quia non ita in eis sicut in perfectis est conplexio viciorum; qui, licet non sint, tamen assuendi sunt, secundum sanctum Thomam 2<a> 2e q. 147. Secundi sunt mulieres <pre>gnantes[125] et lactantes propter duas rationes: una est quia debent accipere cibum non tantum per se, sed in perfeccionem[126] nutritivi; 2a, qui<a> pregnantes consuerunt varia et inordinata desideria diversorum ciborum et quando ita intensa quod, nisi ali<qu>o[127] modo possunt appetitui satisfacere, posset esse preiudicium fetus, secundum Richardum. 3ij sunt egrotantes, quia in eis natura debilis est et ideo si daretur una vice simul, totum quod est necessarium convenienti sustentacioni sue nature. gravaretur; sed, si daretur pluribus vicibus, confortatur natura et vigoratur; et ideo non obligantur. Quarti sunt nimium senes, quia in eis calor et virtus debilis est, quamvis sint sicci siccitate opposita huiusmodi naturali, superhabundat tamen in eis humiditas accidentalis ex indigestione causata; unde si totus cibus quam eorum natura requirit per diem naturalem ab eis summeretur una vice, nimis agravaretur naturalis calor et non possent cibum convenienter digerere. Hec Richardus. Quinti sunt victum necessarium lucrantes cum gravi labore, quia in talibus fit magis humidi consumpcio nec cum ieiunio convenienter possent et efficaciter laborare, dum tamen[128] adsit facultas a suo sacerdote petere dispensacionem et ille debet eis concedere; et hoc debet intelligi si illi non possunt aliter vivere; et qui suos operarios conducere[129] volunt in diebus ieiunalibus nisi sub hac condiccione quod /f. 4v./ non[130] ieiunent, a peccato non excusantur. Et subdit Richardus quod si victum necessarium cum labore, cum quo ieiunare <non possunt>, possunt acquirere, a peccato excusantur. Sexti sunt peregrini, scilicet si talis peregrinacio comode <non> differitur, non peccant, secundum Richardum. Septimi sunt victum necessarium ostiatim mendicantes, quando scilicet tantum habere non possunt de elemosina quod <h>ora conmestionis quod ad victum tot<i>us diei commederet non sufficeret, vel eciam, secundum eum, inedia debilitatis. Octavo de cursoribus dominorum, propter nimium laborem quem sustinent in currendo; nota, secundum Guielmum, quod si moram fecerint, aut vel modicum vadunt, tunc tenentur. Nono servitores nobilium, qui habent servire ad mensas eorum diucius protrahendis, si ex causa necessaria preveniant aliquantulum horam conmedendi, commedendo ex toto vel ex parte modicum, ne deficiant in serviendo, possunt, secundum Thomam. Decimo servientes mediocri<um>[131] personarum, qui surgunt de mensa dominorum suorum ut vadunt ad portandum vinum vel alia, et revertentes iterum conmedunt, non peccant. Undecimo de medicis pregustantibus medicinas, sicut nec qui summit illam. Duodecimi: de seneschalchis pregustantibus cibos ante dominos pre timore veneni, non peccant. 13i de regularibus habentibus legere in mensa in refectorio: aliquid summunt ne deficiant, excusantur si hoc faciunt de licencia prelati, secundum Guielmum.
Sed hic est una difficultas, utrum semper ieiuniorum sit obligatus quis peteret licenciam. Respondeo, secundum Guielmum: si constat de causa propter quam solvendum est, non est necessarium ut petatur dispensacio, presertim, ut dicit Thomas de consuetudine interveniente. Si autem dubium sit utrum sit causa necessaria, tunc petenda est dispensacio ab episcopo loci, si comode possit haberi, /f. 5r./ alias[132] a primo sacerdote.
Quantum ad tercium, scilicet quomodo ieiunia debent esse[133] condicionata, ubi nota septem condiciones quas debet habere ieiunium, scilicet ut placeat Deo. Primo, ut sit pium, id est cum elemosina, unde Augustinus in quodam sermone: «Tale est ieiunium sine elemosina, qualis est lucerna sine oleo». Unde, sicut faciebat Tobias qui faciebat vocare pauperes, ymo de mensa surgebat ieiunus ut mortuos sepeliret. Ysaie 56°: Hoc est ieiunium quod elegi, [58, 6]; videlicet collige fasciculos deprimentes [56, 8] <…> sunt peccata anima gravatur. Colligaciones impietatis [58, 6] sunt vi<ncu>la[134], quibus anima <…> qui in vinculis colligitur, que sunt per penitenciam dissolvenda[135]. Et hoc est ieiunium pium. Secundo, debet esse discretum. Quod autem debeat esse discretum patet quia indiscretum D<eo d>isplicet et dyabolo multum placet, quia per illud quis reducitur inpotens ad faciendum omnia bona et ad resistendum sibi, scilicet diabolo; et ideo discretum sibi displicet; unde, cum magister Deoegenes[136] molto ieiunio se afflixisset, et conmedere<t> interdum ne corpus deficeret, apparuit ei dyabolus dicens: “Comede!”, come gulosa plus dolens de commestione quam de abstinencia. Et ideo Paulus ad Romanos 12, precipiens ut actor[137] gencium castigacionem corporis et penitenciam, dicens: Obsecro vos ut exibeatis corpora vestra hostiam viventem etc. Et addidit: Racionabile obsequium vestrum. Sed secundum Ieronimum, et protestatur cum Nicolao de Lira, in Epistola ad Romanos 12°, super illo verbo racionabile obsequium vestrum; dicit Ieronimus: de rapina holocaustum offerunt qui austeritate nimia corpus suum inmoderate affligunt. Et ad Corinthios 6: Ut castigati et non mortificati. Tercio debet esse sobrium ut scilicet omnia cum mensura et pondere: Ecclesiastici 4°: Comedent filii Ysrael panem suum in pondere et mensura: et ad Romanos 13°: /f. 5v./ Non in commessacionibus et ebrietatibus. Augustinus: Mens, aviditate ciborum lassata, perdit oracionis virtutem; et De consecratione 5 capitulo Sint tibi, dicit quod sint tibi cottidiana ieiunia refeccio, sacietatem fugies, et merito, quia huiusmodi cibi et potus ingurgitacio est causa lascivie, ad remedium cuius est ieiunium ordinatum; unde distinctio XX capitulo primo dicitur: ventris ingluvies ad luxuriam facile provocat, et parum potest: venter et genitalia sibimet ipsis vicina sunt ut ex vicinitate menbrorum consideracio intelligatur viciorum et ideo sobrium. O carissime, vis ut te doceam qualiter facies ut sit tuum ieiunium sobrium? O, sic: fuge gulam! secundum Thomam, 2a 2e q.147. Idem Richardus. Quarto: ut sit mundum et sanctum, scilicet sine peccato. Joelis 2°: Sanctificate ieiunium, vocate cetum et congregate populum, et clamate ad Dominum. A, a, a quia prope est dies Domini. Ieiunium sanctificare est per confessionem et per elemosinam propter peccatorum multitudinem ab anima expurgare. Et nota[138] quod triplex A gracie intelliguntur, qu<e>[139] in omni penitente et ieiunante sunt necessaria. Per primum A, gracia intelligitur cordis contricio. Per secundum A, oris confessio. Per 3m, operis[140] satisfaccio, qu<e>[141] in tribus consistit, scilicet in ieiunio, elemosyna et oratione. Et infra: Egrediatur sponsus de cubili suo et sponsa etc. Unde ad Romanos 12°: Exibeatis corpora vestra hostiam viventem, sanctam, Deo placentem. Quinto: rectum et purum, non sicut eger infirmus, qui ideo non commedit, quia non potest; non sicut egens, quia ideo non comedit, quia non habet; non sicut cupidus ne expendat; non sicut gulosus, qui pertrahit horam ut avidius conmedat; non sicut ypocrita ut laudetur[142]; sed ieiunia vestra sint solum propter Deum. Unde Mathei 8: Cum ieiunatis etc.; Nolite thesaurizare vobis thesauros in terra, ubi erugo et ti-/f. 6r./<-nea> demolitur et fures f<urantur>. Thesaurizate enim vobis in celo, ubi etc. Sexta[143]: quod sit leta. Mathei 8: Nolite fieri sicut ypocrite tristes, quia dicit ad Corinthios 9: Hylarem enim datorem diligit Deus. Et ideo Deus in Matheo dat modum ut fiat cum leticia dicens: Tu autem, cum ieiunas, unge capud tuum et faciem tuam lava etc. Septima condicio: ut sit devotum, scilicet ut sit cum confessione et oratione. De oratione dicitur, Thobie 12°: Dixit Raguel: Bona est oracio cum ieiunio. Unde Crisostomus super Matheum: Sicut miles sine armis nichil est, nec arma sine milite, sic nec oratio sine ieiunio nec ieiunium sine oracione. Isydorus in Summo bono dicit: Hoc est perfectum et racionale ieiunium, quando homo exterior ieiunat et interior orat. Facilius enim per ieiunium oracio penetrat celum. De oracione et confessione, scilicet Iacobi 5° capitulo: Confitemini alterutrum peccata vestra et orate pro invicem ut salvemini etc.
Quantum ad 3um principale, la soa fructificacione: ista materia predicatur feria 4a post primam dominicam vel die dominico.
[1] Con Pietro Sorci sto lavorando all’edizione critica, di cui questo saggio è preparatorio.
[2] Bernardino da Siena, Prediche volgari sul Campo di Siena 1427, a cura di C. Delcorno, Milano 1989, Predica III, titolo anteposto alla predica che prende spunto da «Declaratio sermonum tuorum illuminat, et intellectum dat parvulis» (Ps cxviii).
[3] Bernardino da Siena, Prediche volgari, Predica III, 39; si vedano pure le note ed i rinvii bibliografici del curatore. La citazione ha particolare importanza, perché detta direttamente da Bernardino e non da altri (omessa però nella piú aggiornata vita del beato: F. Rotolo OFM Conv., Il beato Matteo d’Agrigento e la Provincia francescana di Sicilia nella prima metà del secolo XV, Palermo, 1996, p. 96), ma è ricordata da M. Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo da Agrigento minore osservante (+ 1450) (Nocera Umbra, Bibl. Seminarile, cod. II/3), «Bollettino Storico della Città di Foligno», XIX, 1995, pp. 7-74; lo studio è la relazione presentata al Convegno Francescanesimo e civiltà siciliana nel Quattrocento, Palermo-Carini-Gibellina 25-31 ottobre 1992. L’ottimo articolo inquadra il quaresimale nell’epoca, dà una buona descrizione del codice (pp. 12-14), riguarda soprattutto gli aspetti storici; io, qui, seguo interessi filologico-linguistici. Alle pp. 32-74 il Sensi pubblica «brani scelti tratti dal Quaresimale» e il Sermo De inferno e il Sermo De passione Domini.
[4] Rotolo, Il beato Matteo, p. 114, accenna a questa predicazione a Valenza, segnalando la data della Pasqua (29/4/1427; errore di stampa per 20 aprile, poiché il 29 era martedì, e la Pasqua non potrebbe mai cadere così tarda).
[5] B. Matthaei Agrigentini O.F.M. Sermones varii, Edizione a cura di A. Amore, Roma 1960.
[6] Consulto il codice su foto, perché, a causa del terremoto che alcuni anni fa ha colpito la zona, sono ancora inaccessibili i fondi antichi. Non potendo dare completa descrizione del codice, rimando a quella di Sensi, Il Quaresimale, cit. Altra descrizione materiale (senza tavola-indice), si trova in S. M. Gozzo, Due sermoni inediti del beato Matteo di Agrigento (secolo XV), in Noscere sancta. Miscellanea in memoria di Agostino Amore ofm (+ 1982), a cura di I. Vasquez Janeiro ofm., Roma 1985, voll. 2; vol. I, pp. 247-281, in particolare pp. 262-266. Il p. Gozzo aveva visto il ms.; per quanto riguarda le varie mani le mie conclusioni non concordano con le sue; anche la trascrizione, come ad es.: «Esta data gratis mos est ut malvasiam solvatur» (p. 265; ma si tratta di un leonino!). Lo studioso pubblica i primi due sermoni, in forma quasi diplomatica. Poiché non affronta il problema sull’autore che affiora fin dal primo sermone, e poiché la trascrizione è scarsamente punteggiata e non precisa, preferisco riportare il primo testo (citerò, solo delle prime righe, le letture divergenti, ma non quelle grafiche non significative). In alcuni punti si ha il sospetto che lo studioso, tacitamente, si sia servito dei Sermones varii per ‘leggere’ il ms.; l’operazione di per sé è lecita, pur se una ‘lettura ingenua’ lascerebbe maggiore spazio alla vera decifrazione del ms.; anch’io ho fatto e farò ricorso ai Sermones varii. Mi sembra doveroso aggiungere che lo studioso aveva ripreso le carte per preparare l’edizione, con maggiore cura e con la ricerca delle fonti, lavoro rimasto incompiuto per la sua morte; il suo testo mi è servito come ‘testo di collazione’ e sta perciò alla base di questo lavoro, soprattutto là dove le foto a mia disposizione sono quasi illeggibili per vari motivi.
[7] Nella trascrizione segnalo gli a capo, sciolgo le abbreviazioni, separo o unisco le parole secondo l’uso moderno, metto la punteggiatura.
[8] N °h°. Il p. Gozzo, nel dattiloscritto: «Explicit. Homo vere scriptor vult precium habere. Ego frater Ulricus Lauff de Alemagna Von Campanion complevi auxiliante Deo hoc quadragesimale, in die sanctorum Gervasi et Protasi anno 1448. Amen. Esca datur gratis, mos est ut mavasiam [errore di battuta?] solvatis»; parlando della mano A, scrive che si qualifica «frater Ulricus Lauff’ de Alemania von Campanion» Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, p. 13.
[9] Per confronto, aggiungo qualche formula, piú o meno seria, dal repertorio dei Bénédictins du Bouveret, Colophons de manuscrits occidentaux des origines au XVe siècle, Fribourg Suisse 1965-1982. Dal tomo VI: «21058. Explicit hoc vere, scriptor vult precium habere. Praha. Univ. 1935 s. 15 f. 284v»; «21059. Explicit hoc (hic?) vere, vinum vult scriptor habere. Vaticano lat. 1080 s. 14 f. 42». L’accenno al potum (e qualche scurrilità) domina in molte sottoscrizioni: «20921. Explicit, da mihi potum et puntschuch hadern, daz sind fuzztuch etc. Graz Univ. 440 (29/40) s. 14i f. 214v»; «20978. Explicit explitiat, semper scribere erat. / Finito libro, merda sit barba magistro. Metz 66 s. 14 (exécution italienne)»; «2164. Explicit liber, sit scriptor crimine liber. / Explicit expliceat, ludere scriptor eat. / Vinum scriptori debetur de meliori. Bern (Bongars) 63 s. 15 f. 240v». Il nostro codice, con explicit originale e datato, è sfuggito allo spoglio.
[10] In N un segno lasciato in sospeso, forse l’abbozzo di hoc che segue.
[11] Cioè il 19 giugno, che, secondo A. Cappelli, Cronologia, Cronografia e Calendario perpetuo, Milano 1978 (IV ediz. aggiornata), era la data della festa a Milano, Parigi, Soissons, Nevers.
[12] Eccetto le due ultime parole.
[13] Non cambia la visione, se chi ha copiato dall’originale sia stato frate Ulrico o se questi ha trascritto da altro antigrafo: qualcuno si è certamente confrontato con il difficile originale.
[14] Difficilissimo pensare che il copista confondesse, pur se in abbreviazione, desinenze del tutto diverse. Altro errore nel Quadragesimale: «super hunc ramum nidificat unus avis, qui vocatur pavo»: avis è femminile, ‘uccello’ maschile (ma nei Sermones varii, avis ista, p. 47). Del resto, l’autore non si faceva scrupolo di ‘inventare’ le parole: nel De paradiso: «[…] de li beati la immoracione, ibi: qui habitant in domo tua» (Sermones varii, p. 135): è evidente che immorazione deriva dal classico immorari; in S. Battaglia, Grande Dizionario della lingua italiana (GDLI), Torino 1961-2002, la voce non esiste, mentre è registrato immorare, con testi dal Sarpi in qua; nessun esempio nella LIZ (Letteratura Italiana Zanichelli).
[15] Sermones varii, pp. 133 e 130, De equo spirituali; citazione corretta si trova in De servitio Dei seu de vita christiana, ivi, p. 187. In questo caso si deve correggere, o almeno avvisare in apparato, perché lapsus banale e non ‘errore d’autore’ in senso stretto filologico.
[16] Il testo è stato edito da P. Palumbo, Palermo 1954, I; 1956, II; 1957, III. Per le notizie sull’autore, ivi, I, pp. XIVss. Non tutti gli studiosi sono d’accordo nell’attribuire l’autografo a fra Niccolò; per alcuni aspetti sulla predicazione si veda il mio Una ‘drammatica’ “Lamentatio Virginis”, su questa rivista, LIII, 2001, pp. 255-285. Un «Sermo de acerbissima Passione Domini nostri Iesu Christi, con l’inserimento di versi in volgare che dovevano essere pronunziati dai vari personaggi» si trova anche fra le prediche di Roberto Caracciolo (+ 1495), di altra cerchia però rispetto a Bernardino; cfr. il paragrafo S. Bernardino e la civiltà dei predicatori, in G. Bàrberi Squarotti (dir.), Storia della civiltà letteraria italiana. Volume secondo. Umanesimo e Rinascimento, di R. Rinaldi, Torino 1990, pp. 357-378; il nostro è ricordato solo come «quel Matteo d’Agrigento che era forse spagnolo di nascita» (p. 373). Da dove derivi questa idea non so; forse dal presunto cognome di etimo spagnolo: cfr. Rotolo, Il beato Matteo d’Agrigento, p. 88. A quanto dice il Rotolo, si aggiunga san Bernardino, citato all’inizio, che lo chiama «di Cicilia». L’appellativo, di per sé, non è dirimente, dato che Nicola di Bari è detto di Mira (ma pare sia nato a Patara in Licia), Antonio da Padova è di Lisbona, Bernardino da Siena è di Massa Marittima, Madre Teresa di Calcutta è albanese! Chissà in quanti altri casi si verifica questo strano locativo!
[17] Cfr. Rotolo, Il beato Matteo d’Agrigento, p. 85; la data di nascita è posta tra il 1380 e il 1390, preferendo però la prima.
[18] Sermones varii, pp. 191-195. Manca la numerazione di versi, ma si tratta di 25 strofe. Il testo di questo sermone, però, come già detto, non è autografo (ivi, p. 41). Nel catalogo del Tenneroni è indicato un codice con lo stesso incipit, il: «cartac. 43. B. 31. della Bibliot. Corsiniana di Roma» (A. Tenneroni, Inizii di antiche poesie italiane religiose e morali…, Firenze 1909, p. 25), consultato dal p. Amore con altri testimoni, come si legge nella descrizione (pp. 40-41). Accenna al sermone C. Delcorno, in Letteratura in forma di sermone. I rapporti tra predicazione e letteratura nei secoli xiii-xvi, a cura di G. Auzzas, G. Baffetti, C. Delcorno, Firenze MMIII, p. 7.
[19] In proposito credo corretto riportare le parole del p. Amore: «Sento il dovere di ringraziare il mio caro amico e confratello P. Bruno Korosak, membro della Commissione per l’edizione delle opere di Duns Scoto, il quale con la sua ormai nota perizia e perspicacia si è gentilmente addossata la non lieve fatica di rintracciare le fonti letterarie di tutti i sermoni» (Sermones varii, p. 8).
[20] Sermones varii, p. 115. Per le citazioni dantesche, si veda C. Bologna, L’Ordine francescano e la letteratura nell’Italia pretridentina, con accenni alla lingua, ai quaresimali mescidati, e alla predicazione di Bernardino da Siena e d’altri, in A. Asor Rosa (dir.), Letteratura italiana. Il letterato e le istituzioni, Torino 1982, pp. 729-797 (in particolare p. 796); e il capitolo precedente di R. Antonelli, L’Ordine domenicano e la letteratura nell’Italia pretridentina, pp. 681-728.
[21] La terzina completa è ricordata da Bernardino nella predica del 7 settembre 1427; cfr. Bernardino da Siena, Prediche volgari, Predica XXIII, 102. Questo potrebbe far pensare che il beato non avesse letto Dante.
[22] Sermones varii, pp. 122-123. L’annotazione apre il capitolo sulle ‘fonti francescane’, in cui con Iacopone dovrebbero confluire tanti, come san Bonaventura, etc.
[23] Sermones varii, p. 96.
[24] Sermones varii, p. 119.
[25] Sermones varii, p. 93.
[26] Cfr. Uguccione da Pisa, Derivationes, Edizione critica princeps a cura di E. Cecchin et alii, Firenze 2004, II, p. 336 (voce disco); ma lo spunto è nell’incipit di Isidoro: «Disciplina a discendo nomen accepit» (Etym. I.i.1). Il controllo si dovrà estendere ad altri etimologisti, poiché, ad esempio, mentre il beato scrive: «Nota quod humilis dicitur quia vix inter mille unus invenitur qui sit humilis et humilitatem sectetur. Humilis, id est uno untra mille» (Sermones varii, p. 122): untro sarà intra (in volgare; anzi, con grafia yntra, come tante volte in testi siciliani); scrive Isidoro: «Humilis quasi humo adclinis» (Etym. X.11); Uguccione praticamente ripete Isidoro ed anche Papias Vocabulista (Venezia 1496; anast. Torino 1966). Questo etimo, di chiaro tenore medievale, potrebbe essere anche di Matteo, aiutato forse da grafie come umille o dal superlativo humillimus. E cosí strana mi pare: «Scandalum grece idem est quod obest latine» (Sermones varii, p. 141); «Latine sonat offensio, ruina vel rixa» (Papias); Isidoro e Uguccione ignorano la voce, se non nella forma scandula, genus annone. Proprio per le etimologie, vedi anche L. Lazzerini, «Per latinos grossos…». Studio sui sermoni mescidati, «SFI», XXIX, 1971, pp. 219- 339, in particolare pp. 323-324.
[27] Sermones varii, p. 75.
[28] Come si legge ad esempio nel Liber usualis Missae et Officii […], a Solesmensibus Monachis diligenter ornato, Parisiis-Tornaci-Romae-Neo Eboraci 1962.
[29] E, se Ulrico avesse copiato dall’originale, sarebbe per lui bella attenuante; ma il se rimane.
[30] Sermones varii, p. 19.
[31] Soprattutto se la loro lettura è difficile e quasi impossibile; esse dànno maggiore evidenza al travaglio ‘creativo’ e magari spingono la curiosità di qualcuno a cimentarsi nell’impresa.
[32] Nella Introduzione il p. Amore scrive che san Giovanni da Capestrano «ha messo tutti i numeri ai fogli del codice e qua e là delle note marginali e titoli facilmente individuabili» (Sermones varii, p. 14); purtroppo, nella descrizione del codice non vengono fornite le misure, perciò non ci si rende conto della grandezza dell’originale né della riproduzione.
[33] Sermones varii, p. 33.
[34] Sermones varii, p. 41.
[35] L’intento del recensore, postillatore, eventuale ri-editore è, o dovrebbe essere, migliorare il testo, non già di entrare in competizione con chi, in altri tempi e con altri mezzi e metodi, è stato pioniere.
[36] Sermones varii, p. 21. L’analisi, comprese le citazioni, ricopre le pp. 20-39.
[37] Sermones varii, p. 33.
[38] Sermones varii, p. 155.
[39] Ad esempio, nel non autografo Sermo Passionis D.N.J.C., si legge: «Tenuerunt etiam Johannem (sic) qui relicta sindone qua erat indutus profugit ab eis» (p. 212): il sic metterebbe in evidenza un errore d’autore (o di copista); ma il nome è giusto, stando ad Act 12, 12: Marco si chiamava Giovanni («Ioannis, qui cognominatus est Marcus»), ripetuto subito dopo in Act 12, 25: in questo e nel giovane del lenzuolo è comunemente identificato l’evangelista Marco.
[40] G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino 1966, § 280. La forma settentrionale potrebbe essere vestigio del continuo vagare del predicatore.
[41] Il testo è carente di punteggiatura e talora di distinctio, forse per eccesso di prudenza; ad es.: «mort el filglolo splendore de tucte genti» (str. 1), andrebbe letto «mort’è ’l filglolo, splendore de tucte genti»; «piangamo co lochi et col core»: co l’ochi, etc.
[42] Ma il siciliano ha certo reputatrici, puro latinismo (cfr. Marcu Di Grandi, La resurressioni, a cura di C. Del Popolo, Alessandria 2000, v. 553: Cristo «cachau di fora li reputatrichi» quando risuscitò la figlia dell’archisinagoco di Mc 5, 22; e si noti la grafia con ch per la palatale); e cfr. pure il DEI, riputare, ripitare.
[43] Il p. Amore ha cercato di dimostrare per i contenuti che l’autore sia siciliano (pp. 17-18); l’analisi linguistica di qualche elemento dialettale è conferma: si vedano, oltre a quanto accennato nel testo, le -u finali in tanti casi, le grafie canchella (Sermones varii, p. 71), dulchiza (p. 74), le forme davit per dabit (p. 74), viscoctos per biscoctos (p. 78) e per contro baccas per vaccas (p. 151), anchi (‘etiam’, p. 153), ante conam essendo la voce meridionale per iconam (p. 95), maytina (p. 172); «si Deu ti guardi» (p. 178, corrispondente a utinam!); «Peiu è che ’l veru» (p. 145); «omni bellicze» (p. 154: è singolare); la grafia dissipuli (p. 85), dissiplina, dissiplinatus è piuttosto settentrionale (anche se non manca disciplina, p. 93), ma conscistorium (p. 167) indica incertezza; considera errato sblendet per splendet Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, p. 14, ma la forma è meridionale.
[44] L’editore, infatti, indica piú mss.; cfr. Sermones varii, pp. 40-41.
[45] Sermones varii, pp. 174-175. Ho però aggiunto altri segni diacritici e la commatizzazione. Si notino gli ausiliari, talvolta anche omessi.
[46] Si tratta certo di un nominativo enfatico di tipo biblico (cfr. «Deus, Deus meus, respice in me, quare me dereliquisti?» Ps 21 [22], 1; e poi Mt 27, 46; Mc 15, 34).
[47] Impugnato: intensivo di pugnare, quasi sinonimo di tentare (GDLI, voce impugnare2); con sfumatura diversa al n. 15.
[48] Evidente latinismo, non registrato nel GDLI (né presente nella LIZ).
[49] Sospetto un loco, dalla grafia yn (per cui vedi n. 26): «Vado parare vobis locum» (Io 14, 2).
[50] Cfr. GDLI, fallare, n. 8.
[51] Sermones varii, p. 225.
[52] Sermones varii, p. 96, oltre che a p. 228.
[53] Forma siciliana: ‘sei’ (es), anche nella strofe successiva, corrispondente al trecentesco toscano sè.
[54] Sermones varii, pp. 178-179.
[55] Tenneroni, Inizii di antiche poesie, indica presente nel Marc6: «cartac. Cl. IX. 230 della Marciana, appart. ad Ap. Zeno, sec. XV», come «Lauda devotissima de excellentiis Jesu». Le strofette non si trovano fra le 126 della lauda Iesú faccio lamento, delle quali la stragrande maggioranza è anaforica, nell’edizione Tresatti (Le poesie spirituali del B. Iacopone da Todi frate minore…, con le scolie [sic, femminile; ma il GDLI lo dà solo maschile] et annotationi di fra F. Tresatti, Venezia, Appresso Nicolò Misserini MDCXVII, pp. 867-873). Il testo poetico è pubblicato dal Sensi, Il Quaresimale, cit., pp. 52-53.
[56] Sermones varii, p. 186; cosí l’editore: «Tucti li beni che con cor non fay, may son accepti ne merito day».
[57] Sermones varii, p. 91. La mancanza del dittongo in vol e conven rimanda al siciliano.
[58] Sermones varii, p. 133. Il vocalismo tonico siciliano si vede in cortise, spise. Nello stesso sermone, p. 129, un errore di stampa: requitur per requiritur; ma, a dir vero, sono parecchi gli errori certi di stampa (p. 68, caputanguli per caput anguli, «Aspicientes serpentes sanabantur» riferendosi al serpente di bronzo dovrebbe essere singolare; p. 69, «de ligno misso in aquis Mirat» [ma in Ex 15, 23 si legge Mara o la variante Marath]; p. 73, «pre cultibus angelorum», invece di vultibus; p. 105, «ascendunt ad sures Dei», aures; p. 120, seuitur per sequitur; p. 123, tantan per tantam; etc.).
[59] Addirittura, in Sermones varii, si legge: «Et quicunque fecerint contentor quod de omnibus bonis que peragam in ista XLa debeant partecipare…» (p. 81): si tratta di una predica di quaresimale!
[60] In alto a destra, nella c. cxjr, c’è una nuova numerazione, che parte da 201 a 209 e poi séguita con 300-309, 400, etc., con stranissima numerazione fino a 1000 (c. clxxxviijr) e poi resta sospesa.
[61] In N: «dgubinatis», con taglio sulla d. Il dubbio sulla data riguarda solo l’ultima cifra. Il Gozzo, Due sermoni inediti, legge: «Iste liber est frater (leggere: fratris) Marinangelus de Noccia (= Nocera) Frater Protasius de Gabinalis de l 5393 de Iulius […] la seconda si potrebbe interpretare: […] del 1539 4 de Iulius» (p. 263). «Iste liber est fr. Marinangelus (!) de Noceia / fr. Protasius de Gabinalis del 1539, 3 de iulius» scrive Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, p. 14.
[62] Sermones varii., p. 77.
[63] Il testo completo di questo primo sermone, come già detto, si potrà leggere piú avanti.
[64] Nei Sermones varii il nome si trova tre volte, come scrive il p. Amore (p. 18).
[65] Sermones varii, p. 19.
[66] Osservazione: un quaresimale, per natura, dovrebbe avere un numero di prediche corrispondenti ai giorni della quaresima stessa; ora nel nostro codice, tolti gli ultimi tre che sono pasquali, restano quarantuno sermoni (del n. 29 c’è solo il titolo). Tutte le sei domeniche sono presenti; la settimana santa ha esplicitamente il lunedí, il martedí (e tratta De corpore Christi!) e il mercoledí, seguiti da due sermoni prima di quello di Pasqua; nella prima settimana, partendo dal Mercoledí delle ceneri (ben si addice il De ieiunio), manca il sermone per la feria sesta; e mancano altre prediche feriali. Si vedano poi nella tavola i sermoni nn. 5-6, 10-11, 31-32: a chi addebitare queste situazioni? A meno di volere considerare parte integrante del Quaresimale anche i sermoni aggiunti dalla secunda manus.
[67] L’aggettivo non sarebbe un problema, dato che di ecclesia agrigentina si parla in documenti del 1220; cfr. la voce di G. B. Pellegrini, in Dizionario di toponomastica, Torino 1990.
[68] Sermones varii, p. 39. Il testo, a p. 188.
[69] Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, affronta il problema di frater Antoni, ma non quello di frater A. (p. 17).
[70] Cfr. le voci Berta di G. Petrocchi e Martino di P. Mazzamuto, in Enciclopedia Dantesca, Roma 19842; per Pietro si veda s.v. nel GDLI. Altri nomi esemplari si possono vedere in Lazzerini, «Per latinos grossos…», pp. 264-65.
[71] Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, pp. 20-21 fa delle ipotesi, per cui sarebbe posteriore al 1427.
[72] Mi riferisco alle fonti, che non sempre sono riconoscibili; ed anche alle parole impossibili, o perché non si riescono a leggere o perché inesistenti (molto probabilmente per errore) ed a tutti quei problemi che conosce chi si dedica alle edizioni di testi.
[73] Hieronymus Epistularum pars I. Epistulae I-LXX, edidit I. Hilberg, Editio altera supplementis aucta, Vindobonae MCMXCVI. Segnalo le differenze di lezioni dell’apparato, per fare rilevare che il testo usato dall’autore era vicino a k (sigla dell’editore: Vaticanus lat. 650 s. X). In apparato si ha un allidet (k) allidit (B: Berolinensis lat. 18 s. XII).
[74] In apparato putabam (S: Turicensis Augiensis 41 s. IX; k.)
[75] Lezione presente in apparato (k).
[76] Sulla lingua in generale, cfr. Lazzerini, «Per latinos grossos», passim. Un’osservazione: Bernardino da Siena, Prediche volgari, dà il tema in latino e ogni tanto fa delle citazioni in latino che in linea di massima traduce; Matteo invece fa le distinzioni in volgare e ogni tanto infioretta col volgare il suo latino.
[77] Sermones varii, p. 92.
[78] Sermones varii, p. 87.
[79] Cfr. s. v. nel GDLI.
[80] L. Bolzoni, La rete delle immagini. Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena, Torino 2002, pp. 150-155. Cfr. pure Lazzerini, «Per latinos grossos», pp. 264-268. Le studiose non accennano al beato Matteo.
[81] Per la grafia cosse vedi la n. 42.
[82] Si noti la grafia per splendet, che in siciliano è sbrínniri, sbrènniri (cfr. s. v nel Vocabolario siciliano, fondato da G. Piccitto, diretto da G. Tropea, IV, Palermo-Catania 1997). Al siciliano rimanda il passato remoto dei due fecisti, dato il contesto, anche se possono sembrare in latino.
[83] La lezione è incerta, ma il significato chiarissimo; si potrebbe infatti: «quod si unum aliud <l>itrum [oppure: utri] vini». In latino medievale, stando al Glossarium Mediae et Infimae Latinitatis…, a C. Du Fresne D. Du Cange… auctum… a G. A. L. Henschel, Niort 1886, si dovrebbe avere litra, per grecismo, attestato nel 1254; è evidente che si tratta di metaplasmo.
[84] Nei Sermones varii, pp. 79-80, le categorie sono nove.
[85] Probabilmente Guglielmo di Auxerre; ma si dovrà approfondire.
[86] Nella trascrizione, conservo la grafia, non inserendo il dittongo né tantomeno abolendo le grafie del tipo -ngn- o del continuo scambio c/t, ma distinguendo u da v perché sicuramente diversa era la pronuncia dell’epoca, servando la j solo nei numeri romani, sciolgo le abbreviazioni segnalando quelle anomale, inserisco punteggiatura e distinctio secondo l’uso moderno, integro fra parentesi uncinate; inoltre indico ogni folium fra barre oblique, cosí /f. 1v./; metto in corsivo le parti in volgare, affinché risaltino subito, ed anche le citazioni esplicite bibliche. Per comodità tipografica, qui preferisco evitare due fasce, una per l’apparato critico e l’altra per le note. Questa semplicità si riflette nell’assenza del rinvio alle fonti, conservandolo per l’edizione; eccezionalmente segnalo tra parentesi quadra qualche fonte non espressamente indicata dallo scrittore.
[87] De isto] Ratio de ipso Gozzo.
[88] N in margine: Nota.
[89] soa] sua Gozzo.
[90] De consecratione, distinctio 5] de 2 et 4 Gozzo.
[91] omnia] duo Gozzo.
[92] fiunt] sunt Gozzo.
[93] L’abbreviazione non è usuale.
[94] Suppongo, stando al testo di Isaia, un omoteleuto, come anche piú sotto al «Tunc… Tunc».
[95] eo<s>] eas.
[96] N la u è corretta su una c.
[97] es<se>] est.
[98] L’abbreviazione nella parte iniziale è poco chiara; leggo virtuale per analogia con i Sermones varii, p. 76: «naturale, virtuale, ecclesiasticum»
[99] ali<is> animali<bus>] alia animalia.
[100] falsum: riferito al digiuno: ‘quello degli animali è un falso digiuno’.
[101] quis summit] quis subtilia (espunto) summit.
[102] cum ieiunium] cum d (cassato) ieiunium.
[103] corporali] corporalis.
[104] exemplum nam] exemplum inc (cassato) nam.
[105] La festa di Filippo e Giacomo, ricorrendo allora al primo maggio (oggi al tre), non potrebbe mai trovarsi fra due Pasque, poiché l’ultima data utile è il 25 aprile, con conseguente Dominica in albis al 2 maggio, che rimane comunque nel tempus paschale. Suggerisce di leggere: «infra Pascam et Pentecostem» Pietro Sorci; o anche, per l’uso del volgare, «infra Pascam <Resurrectionis> et Pascam <Pentecostis>».
[106] vi<m>] vis.
[107] N in margine: Nota.
[108] tempor<a>] tempore.
[109] potest] prima della p una barra verticale, quasi inizio della s di satisfacere.
[110] N in margine: 2m principale.
[111] ist<a>m] istum.
[112] Questo appello a patres et matres fa pensare ad un discorso preparato per un pubblico comune (un po’ prima ricorda che «tam religiosi quam seculares» sono obbligati al digiuno); cosí anche l’accenno che segue alle varie categorie: l’ammalato, l’innamorato, il mercante, ma non mancherà il lettore nei conventi.
[113] Neapolim? Non vi è dubbio sulla lettura della parola. Il senso non è chiaro. Un brano simile si trova nei Sermones varii: «Sed, o boni parentes, semper filios instruatis ad minus semel in ebdomada ieiunare, propter graciam impetrandam et propter divinam iram mitigandam, sicut Ninivite, etc.» (p. 79): questo è il primo sermone napoletano, come già detto sopra. Il sospetto è duplice: sul sunt, e su Neapolim (a piene lettere). Se questo testo è stato scritto dopo i Sermones varii, e non ci sono elementi di datazione, si può pensare che il nome proprio sia il ricordo di qualcosa accaduta a Napoli in seguito alla sua predicazione. Io credo che frate Ulrico abbia travisato un «sicut fuit Neapolim», restando sempre a Napoli. Mi sembra molto difficile chiarire con Ninivite, nonostante il ricordo biblico e nonostante che altrove si legga: «Celebrato ieiunio, misertus est Dominus Ninivitis» (p. 160). Eccetto che vi sia una lacuna.
[114] Qui e altrove il quaranta è evidente richiamo al digiuno quaresimale.
[115] aliu<m>] aliud.
[116] possum ieiunare] possum p (cassato) ieiunare.
[117] Cu<i> e<g>o] Cum eo.
[118] vole<r>e] voleve.
[119] Il testo non scorre bene: forse «<è> e·sser<à> felice».
[120] Il brano in volgare è riportato anche in Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, p. 34: «Exclama: O mundo ciecho, o mundo paczo! meiore fare penitencia est per andare in paradiso che per andare accasa dedixiosa non volere ieiunare, per una misera delectacione carnale, per la quale ne perde l’anima; el corpo volene ieiunare e per acquistare quello incommutabili e infinito bene per lu quale l’anima e lo corpo sempre essere felice non non posse ieiunare. Respondebis Deo tibi ista proponenti, o peccatore!».
[121] dicitis, doce: si notino i due verbi, uno singolare ed uno plurale, discordanza molto in uso anche nel volgare.
[122] preterire] pretere (cassato) preterire.
[123] cum cunsuetud<ines>] cunsuetudo. L’errore è forse causato dall’apparente ablativo.
[124] N in margine: 2a pars.
[125] <pre>gnantes] prime gnantes (a tutte lettere).
[126] in inf perfeccionem] in inf perfeccionem.
[127] ali<qu>o] alicio.
[128] dum tamen] ta (cassato) dum tamen.
[129] conducere] c (cassato) conducere.
[130] non] quod (ripetuto a inizio carta) non.
[131] mediocri<um>] da contrapporre a nobilium di sopra; se no, sono i servi di poco conto.
[132] alias] haberi (ripetuto a inizio carta) alias.
[133] esse] essent (cassato) esse.
[134] vi<ncu>la] vilia.
[135] Il senso generale e la sintassi obbligano a pensare a lacune, tanto piú che all’inizio c’è la citazione di Isaia, quasi corretta (nonostante gli omoteleuti); per questo credo che si tratti ancora di errori del copista.
[136] Ignoro chi fosse. Ma la lezione è esatta?
[137] actor? Sarà pastor, apostolus; o ancora: «precipiens, ut a<u>tor gencium, castigacionem»; nel Medio Evo la confusione fra autor e actor era comune, come attesta anche Dante nel De vulgari eloquentia; actor potrebbe essere Dio, fattore di tutto; ma il gentium seguente, forse con trivializzazione, fa pensare a Paolo.
[138] N in margine: Nota.
[139] qu<e>] quo.
[140] operis] operis operis.
[141] qu<e>] qui.
[142] Molto piú incisivo nei Sermones varii: «(Hic nota eorum mores, quia uxoribus dicunt: ‘Istud assa, istud lissa; quia ieiunamus, bene comedamus!’). Ante ieiunium ut sint fortes ad ieiunandum faciunt magnum convivium; in die ieiunii comedunt multum; in sequenti die, quia ieiunaverunt, nimis comedunt: ecce, pro semel ieiunare, tres dies volunt se saciare» (p. 80; ho mutato un po’ i segni di punteggiatura; però, per avere senso, necessita che ci sia il digiuno pro semel, e bisognerebbe leggere «in die ieiunii comedunt <non> multum»; e tres dies sarà da intendere ‘l’abbondanza del giorno di prima, il cibo un po’ ridotto nel giorno del digiuno, e l’abbuffata del successivo: mangiano dunque a sazietà in tre giorni’. Si notino anche i due versi: «Ecce, pro semel ieiunare, / tres dies volunt se saciare»).
[143] Sottinteso condicio, come al numero successivo.